Lo Stato di esecuzione può bloccare un mandato di arresto europeo solo sulla base di elementi precisi relativi a un rischio che le misure di detenzione siano contrarie all’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (divieto di tortura o di trattamenti inumani o degradanti). Se lo Stato emittente ha fornito assicurazioni sulla circostanza che la persona interessata non subirà un trattamento inumano o degradante, il no alla consegna può essere ammesso solo in presenza di basi solide. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sesta sezione penale, con la sentenza n. 18352 depositata il 16 giugno (18352) con la quale è stata precisata l’operatività dell’articolo 4, n. 4 (motivi di non esecuzione facoltativa) della decisione quadro n. 2002/584 sul mandato di arresto europeo e le procedure di consegna tra Stati membri, recepita in Italia con legge n. 69/2005. Questi i fatti. La Corte di appello di Venezia aveva deciso la consegna alle autorità portoghesi di un cittadino straniero, condannato per reato di abuso sessuale. Secondo il destinatario del provvedimento, tuttavia, vi era il rischio di trattamenti inumani o degradanti per la situazione di sovraffollamento carcerario e maltrattamento dei detenuti negli istituti di pena portoghesi e, inoltre, sussisteva una condizione ostativa dovuta alla prescrizione del reato (articolo 18, lett. n della legge n. 69/2005). Per la Cassazione, in primo luogo, la condizione di cui all’art. 18 potrebbe operare “esclusivamente nell’ipotesi in cui vi sarebbe stata effettivamente la possibilità di giudicare il fatto oggetto del m.a.e. in Italia”. Nel caso di specie il reato era stato commesso da un cittadino straniero ai danni di altro straniero all’estero e, quindi, il reato al centro della pronuncia non era giudicabile in Italia. Per quanto riguarda il rischio di trattamenti inumani, la Cassazione ha precisato che i giudici di appello hanno considerato le precisazioni fornite dalle autorità portoghesi sul rispetto dei parametri fissati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di detenzione. Le stesse autorità, inoltre, hanno ribadito che la persona richiesta non sarebbe stata assegnata ad alcun penitenziario oggetto di raccomandazioni da parte del Comitato per la prevenzione della tortura. Di conseguenza, le autorità italiane non avevano alcuna base per ritenere che la persona interessata sarebbe stata vittima di trattamenti disumani. D’altra parte – osserva la Cassazione – la Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza del 15 ottobre 2019 (C-128/18, Dorobantu), ha evidenziato che se la persona interessata non rischia, sulla base di “concrete e precise condizioni di detenzione”, un trattamento degradante e inumano, l’autorità di esecuzione deve fidarsi dell’assicurazione delle autorità dello Stato che ha emesso il mandato di arresto. Pertanto, conclude la Cassazione, solo in circostanze eccezionali e sulla base di elementi precisi, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può ritenere non soddisfatta l’assicurazione fornita dallo Stato emittente e bloccare l’esecuzione del provvedimento. Di qui il via libera alla consegna.
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