www.marinacastellaneta.it - Newsletter numero 1 - Giugno 2011Stampa questa NewsletterInoltra questa Newsletter
SOMMARIO
DIRITTO INTERNAZIONALE:
Gheddafi va arrestato. Lo chiede il Procuratore della Corte penale internazionale. Intanto nuove indagini anche sui crimini in Costa d'Avorio.
UNIONE EUROPEA:
I professionisti alla prova del diritto UE
CONSIGLIO D'EUROPA
Stop alla violenza contro le donne
DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO
Al via il regolamento sulle obbligazioni alimentari
SENTENZE DAL MONDO:
Maternità surrogata
Protezione internazionale

DIRITTO INTERNAZIONALE



Gheddafi va arrestato. Lo chiede il Procuratore della Corte penale internazionale.

Gheddafi va arrestato. Lo chiede il Procuratore della Corte penale internazionale. Intanto nuove indagini anche sui crimini in Costa d'Avorio.

La giustizia penale internazionale raccoglie il consenso della comunità internazionale dopo l'arresto di Mladic, avvenuto il 26 maggio 2011, a due passi da Belgrado. Anche la Corte penale internazionale, malgrado le aspre critiche provenienti dalla stampa inglese, prova a stare al passo con il Tribunale per l'ex Iugoslavia. Il Procuratore della Corte penale internazionale, Louis Moreno Ocampo, ha chiesto alla pre-trial chamber, il 16 maggio 2011, di emettere un mandato di cattura nei confronti del leader libico Mohammed Gheddafi, di suo figlio Saif e del capo dell'intelligence Al Sanousi per i crimini contro l'umanità commessi in Libia dal febbraio 2011 (http://www.icc- cpi.int/iccdocs/doc/doc1073503.pdf).
Le prove raccolte – osserva Moreno Ocampo – dimostrano che il dittatore libico ha ordinato il massacro di civili durante la rivolta a Tripoli e Mensurata e che atti di persecuzione sono ancora in corso nelle aree sotto il controllo di Gheddafi.
Il deferimento della situazione libica alla Corte penale internazionale è avvenuto su iniziativa del Consiglio di sicurezza che, con risoluzione 1970 adottata all'unanimità il 26 febbraio 2011, non solo ha disposto l'embargo di armi, ma ha anche dato il via a misure nei confronti di Gheddafi e di alcuni uomini del suo regime, inclusi i suoi familiari.
Il Consiglio ha agito in base all'articolo 16 dello Statuto della Corte, chiedendo all'organo giurisdizionale penale internazionale di avviare indagini sulla situazione libica e di individuare i responsabili dei crimini nei confronti di cittadini libici commessi a partire dal 15 febbraio.
In precedenza, il Consiglio aveva deferito alla Corte la questione dei crimini contro l'umanità commessi in Darfur (risoluzione 1593 del 2005). In quell'occasione, la Corte, investita della questione, aveva emesso un mandato di cattura (caduto nel vuoto) nei confronti del Presidente sudanese al-Bashir che è rimasto al suo posto e non ha rinunciato a numerosi spostamenti, senza alcuna cooperazione delle autorità giudiziarie degli Stati nell'esecuzione dell'arresto.
Proprio di recente, al-Bashhir, sfidando l'ordine della Corte, si è recato a Djibouti, che tra l'altro ha ratificato lo Statuto della Corte penale internazionale ed è quindi obbligato a cooperare con la Corte, senza essere fermato dalle autorità nazionali.
E' quindi probabile che anche l'eventuale emissione del mandato di arresto da parte della pre-trial chamber non impensierirà più di tanto Gheddafi sia perché altri leader sui quali pende il mandato di cattura viaggiano senza problemi e restano saldamente al proprio posto, sia per la cronica lentezza nello svolgimento dei procedimenti dinanzi alla Corte penale internazionale.
A nove anni dall'entrata in vigore dello Statuto, non è stato emesso alcun verdetto di condanna o di assoluzione. E non c'è dubbio che una giustizia così lenta, lontana anni luce dal verificarsi dei fatti, è senza dubbio, almeno sotto il profilo degli effetti deterrenti, inefficace, oltre a provocare dubbi sull'effettivo rispetto delle regole dell'equo processo.
Le indagini, però, vanno avanti. Il 19 maggio il Procuratore ha aperto un nuovo fronte e ha chiesto alla pre-trial chamber l'autorizzazione ad aprire indagini sulla situazione in Costa d'Avorio per i fatti avvenuti a partire dal 28 novembre 2010. La Costa d'Avorio non ha ratificato lo Statuto, ma ha accettato la giurisdizione della Corte, in base all'articolo 12, par. 3 dello Statuto, con dichiarazioni rese il 18 aprile 2002, il 1° dicembre 2010 e il 3 maggio 2011 (http://www.icc-cpi.int/NR/rdonlyres/498E8FEB-7A72-4005-A209-C14BA374804F/0/ReconCPI.pdf).
Per alcune osservazioni critiche sull'operato del Procuratore della Corte si veda http://www.guardian.co.uk/law/2011/apr/21/moreno-ocampo-international-criminal-court.
 

UNIONE EUROPEA

I professionisti alla prova del diritto Ue.

La scelta di alcuni Paesi Ue di mantenere in piedi la clausola della nazionalità come condizione di accesso alla professione notarile, anacronistica e chiaramente contraria al diritto Ue, è costata cara ai notariati di tutta Europa. Una scelta miope, quella seguita con ostinazione da Paesi come Belgio, Austria, Francia, Lussemburgo, Grecia e Portogallo che ha portato la Corte a condannare i sei Paesi in causa per violazione del diritto Ue. Ma la Corte ha fatto di più. Con le sei sentenze depositate il 24 maggio 2011 (cause C-47/08, C-50/08, C-51/08, C-52/08, C-53/08, C-54/08, C-61/08), la Corte di giustizia ha anche escluso che i notai partecipino all'esercizio dei pubblici poteri secondo quanto previsto dal Trattato Ue con l'impossibilità, quindi, per questi professionisti di invocare una deroga generalizzata all'applicazione delle norme Ue nei loro confronti in base all'articolo 51 del Trattato di Lisbona. E' stata la Commissione europea ad accendere i riflettori della Corte di giustizia sui notai: per Bruxelles, le norme previste dall'ordinamento francese, belga, austriaco, lussemburghese, tedesco, greco e portoghese che riservano l'accesso alla professione unicamente ai propri cittadini (in Italia questa condizione è stata eliminata sin dal 2003) sono contrarie al Trattato Ue e, in particolare al divieto di ogni discriminazione in base alla nazionalità. Gli Stati in causa sono andati dritti per la propria strada e sono incappati in una sonora condanna da parte dei giudici di Lussemburgo che hanno condiviso la posizione della Commissione. Per la Corte, che ha scandagliato le diverse attività poste in essere dai notai, questi professionisti non partecipano all'esercizio dei pubblici poteri secondo quanto previsto dal Trattato Ue.

Detto questo, però, la Corte di giustizia ha lasciato in piedi le regole di organizzazione della professione decise dai consigli notarili. I giudici Ue, infatti, hanno affermato che le attività notarili perseguono obiettivi di interesse generale per garantire legalità e certezza degli atti conclusi da privati. Di conseguenza, per garantire la piena attuazione di ragioni imperative di interesse generale possono essere ammesse restrizioni all'articolo 43 del Trattato Ce (oggi articolo 49), con particolare riguardo all'organizzazione delle procedure di selezione, alla predisposizione del numero e delle competenze territoriali, nonché dei regimi applicati ai notai relativi alla remunerazione, indipendenza, incompatibilità e inamovibilità, fermo restando però che eventuali «restrizioni permettano di conseguire tali obiettivi e siano a ciò necessarie» (par. 87, causa C-50/08, Francia). Degli avvocati, sempre con riguardo al diritto Ue, si è occupato invece il Consiglio nazionale forense che ha adottato, il 5 maggio 2011, il parere n. 9-C-2011 sull'iscrizione all'Ordine degli avvocati italiani in Spagna che chiedono l'omologazione del titolo in Italia. La richiesta di parere è arrivata dal Dipartimento delle politiche comunitarie alla luce dei numerosi reclami registrati dal centro SOLVIT da parte di alcuni avvocati che avevano chiesto l'omologazione del titolo in Italia, ma avevano incontrato ostacoli da diversi Ordini. Il Consiglio nazionale forense è giunto alla conclusione che l'ordine ha il diritto di negare l'iscrizione se, nell'obbligatorio rispetto della giurisprudenza comunitaria, si verifica un abuso del diritto dell'Unione europea.

CONSIGLIO D'EUROPA

Stop alla violenza contro le donne

Il Consiglio d'Europa rafforza gli strumenti per combattere la violenza contro le donne, considerata come violazione di un diritto umano fondamentale. E lo fa con una Convenzione adottata l'11 maggio 2011 a Istanbul sulla prevenzione e il contrasto alla violenza sulle donne e alla violenza domestica (il testo è reperibile nel sito conventions.coe.int).
Si tratta del primo atto internazionale che mette in campo non solo strumenti preventivi, ma anche sanzionatori, indirizzati alla violenza in quanto tale, a prescindere da eventuali forme di discriminazione che sono considerate automatiche e implicite nella violenza di genere.
Centrale l'attività di monitoraggio che ciascuno Stato dovrà predisporre nel proprio ordinamento. La Convenzione entrerà in vigore 3 mesi dopo la ratifica del decimo Stato, a condizione che almeno otto ratifiche provengano da membri del Consiglio d'Europa (al 5 giugno nessuno Stato aveva ratificato la Convenzione, che è stata invece firmata da 13 Paesi inclusa Turchia, Germania, Francia, Spagna, ma non Italia).
L'obiettivo è fronteggiare una piaga in crescita in tutto il mondo, inclusa l'Europa, grazie all'imposizione di obblighi positivi e negativi in capo agli Stati (anche non membri del Consiglio d'Europa) che ratificano la Convenzione, che copre sia la fase della prevenzione che quella della repressione.
Per quanto riguarda il primo profilo, la Convenzione dispone che gli Stati sono tenuti ad adottare misure legislative e di altro genere per prevenire ogni forma di violenza e impedire che eventuali tradizioni culturali siano considerate come forma di giustificazione ad atti di violenza. Un ruolo centrale è attribuito ai processi educativi che, al pari dei media, devono rimuovere ogni forma di stereotipo.
Necessaria l'attivazione di una linea telefonica di assistenza che assicuri l'anonimato alle

vittime e strumenti di supporto alle donne che subiscono violenza sessuale.
Che hanno diritto a una giustizia effettiva. In questa direzione, la Convenzione impone agli Stati di favorire l'accesso alla giustizia sia civile che penale. Per quanto riguarda il primo aspetto, centrale è la possibilità per le vittime di agire per ottenere un indennizzo in tempi ragionevoli.
Questi i comportamenti da punire: violenza psicologica, stalking, violenza fisica, violenza sessuale, matrimonio forzato, mutilazioni genitali, aborto forzato e sterilizzazione, molestie sessuali. Nella previsione di questi reati, però, gli Stati devono escludere che possa essere utilizzata come esimente la sussistenza di ragioni culturali o di onore. La giurisdizione per i crimini deve essere attribuita ai giudici dello Stato sul cui territorio è perpetrato l'illecito o di cui l'autore o la vittima abbiano la nazionalità o la residenza abituale. Per le sanzioni, l'articolo 45 richiama quanto previsto in molte decisioni quadro e direttive Ue e richiede unicamente che le sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive, con la possibilità di misure aggiuntive di monitoraggio nei confronti di chi commette crimini contro le donne.
Da escludere, invece, ogni possibilità di ricorrere a mediazione o altre forme alternative di soluzione delle controversie nei casi di violenze di questo genere.
Un chiaro orientamento, poi, verso la procedibilità d'ufficio di questi reati la cui punizione deve andare avanti anche nel caso di ritiro delle denunce.
Per garantire un costante miglioramento nell'attuazione della Convenzione e assicurare effettività ai diritti è disposta l'istituzione di un nuovo organismo di controllo, il Gruppo di esperti per le azioni contro la violenza sulle donne e la violenza domestica (GREVIO).

Della violenza domestica si è occupata anche la Corte europea dei diritti dell'uomo che, nella sentenza del 9 giugno 2009 relativa al caso Opuz contro Turchia (ricorso n. 33401/02), ha rafforzato la protezione delle vittime di violenza all'interno del nucleo familiare offrendo da un lato alle vittime un'ampia possibilità di ricorrere a Strasburgo per far valere i propri diritti e, dall'altro lato, imponendo agli Stati l'adozione di misure positive per garantire in modo effettivo la tutela delle donne.
La Corte, in quell'occasione, ha anche mostrato un chiaro favore verso la perseguibilità d'ufficio nei casi di violenza domestica. Trincerarsi, per uno Stato, dietro l'obbligo di denuncia della vittima significa non solo non tutelare la vittima, ma ledere l'interesse pubblico perché l'intera collettività esige che un individuo che commette violenze sia punito, a prescindere dalla denuncia della persona direttamente lesa.

 

DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO

Al via il regolamento sulle obbligazioni alimentari

Dal 18 giugno 2011 è applicabile il regolamento n. 4/2009 del Consiglio del 18 dicembre 2008 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari (in GUUE L 7 del 10 gennaio 2009, p. 1 ss.). Costituito da 76 articoli, da undici allegati, da nove moduli, il regolamento punta a semplificare il recupero effettivo dei crediti alimentari grazie all'armonizzazione delle norme di conflitto, all'attribuzione, almeno in via generale, della competenza al giudice più vicino al creditore e all'eliminazione, con alcune eccezioni, dei passaggi intermedi per l'esecuzione di un provvedimento emesso in uno Stato membro in altri Paesi Ue, agevolando la cooperazione amministrativa tra le autorità nazionali.
Le regole sull'entrata in vigore sono fissate dall'articolo 76 in base al quale esso sarà in gran parte applicabile dal 18 giugno 2011 a condizione che nell'Unione europea possa essere attuato il Protocollo dell'Aja del 23 novembre 2007 sulla legge regolatrice delle obbligazioni alimentari.
L'indicato Protocollo dispone che l'entrata in vigore è fissata il 1° giorno del mese successivo ai 3 mesi seguenti al deposito del secondo strumento di ratifica (si veda, per lo stato delle ratifiche, il sito della Conferenza dell'Aja www.hcch.net). L'Unione europea ha ratificato il Protocollo l'8 aprile 2010 e ne ha dichiarato l'applicazione provvisoria dal 18 giugno 2011 anche se il suddetto atto non è ancora entrato in vigore sul piano internazionale.
Alcune disposizioni del regolamento erano in ogni caso già applicabili dal 18 settembre 2010.
Si tratta, in particolare, di disposizioni funzionali a garantire, una volta entrato in vigore in via generale il regolamento, la cooperazione amministrativa tra gli Stati membri. Di conseguenza, entro il 18 settembre

2010, gli Stati membri dovevano comunicare le informazioni utili per individuare le autorità giurisdizionali o le altre autorità competenti che possono ottenere la dichiarazione di esecutività, le lingue da utilizzare ed eventuali modifiche dei moduli da impiegare per la trasmissione di documenti. Le informazioni sono reperibili nel sito dell'Atlante giudiziario europeo in materia civile (http://ec.europa .eu/ justice_home /judicialatlascivil/html/ mo_information_en.htm).
L'Italia ha indicato come Autorità centrale il Dipartimento per la giustizia minorile (email: giustizia.minorile@giustizia.it; tel. 0668807087).
Sono vincolati dal regolamento tutti gli Stati Ue con esclusione della Danimarca (considerando n. 48 del Preambolo). Tuttavia, tenendo conto dell'accordo concluso dalla Danimarca con l'Unione europea il 12 giugno 2009, il quale stabilisce che il regolamento n. 4/2009 sarà applicato «nella misura in cui tale regolamento modifica il regolamento (CE) n. 44/2001», limitatamente alle questioni sulla giurisdizione e sul riconoscimento delle sentenze il regolamento n. 4/2009 sarà applicato nella parte in cui modifica Bruxelles I «ad eccezione delle disposizioni del capo III e del capo VII».
Per quanto riguarda la posizione di Irlanda e Regno Unito, mentre il primo Stato ha comunicato immediatamente la volontà di essere vincolato dall'atto Ue, il Regno Unito che in primo momento aveva dichiarato di non partecipare all'adozione del regolamento, ha poi modificato la propria posizione, notificando con lettera del 15 gennaio 2009 l'accettazione del regolamento. Di conseguenza, con decisione della Commissione 2009/451/CE dell'8 giugno 2009 il regolamento è vincolante anche per il Regno Unito, fermo restando, però, che per la parte del diritto applicabile, il Regno Unito non è vincolato dal Protocollo dell'Aja del 2007.

Di recente in materia di rapporti familiari, la Commissione europea il 16 marzo 2011, ha presentato due proposte di regolamento relative all'adozione di due differenti strumenti sulla giurisdizione, sulla legge applicabile e sull'esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali, uno relativo ai coniugi (COM(2011)126) e l'altro ai partner di unioni registrate (COM(2011)127).

 

SENTENZE DAL MONDO

Maternità surrogata

La Corte di cassazione francese torna sul tema della maternità surrogata. E lo fa ribadendo che la trascrizione di un atto notorio relativo allo status di figlio legittimo nato a seguito di maternità surrogata è contraria all'ordine pubblico. In particolare, con la sentenza n. 371 del 6 aprile 2011 (n.09-17-130), la Corte di Cassazione, prima sezione civile, ha respinto il ricorso presentato da due coniugi che avevano avuto un figlio nato in Minnesota a seguito di un accordo di maternità surrogata con una cittadina statunitense. I coniugi avevano chiesto la trascrizione del documento attestante il proprio status di genitori agli uffici di stato civile, ma l'istanza era stata respinta, spingendo i coniugi a presentare ricorso in Cassazione che, però, ha dato ragione sia agli ufficiali di stato civile, sia ai giudici di primo grado. Per la Suprema Corte, infatti, il principio di indisponibilità della persona ha un carattere essenziale nell'ordinamento francese e, quindi, una convenzione che conduce una donna a portare avanti una gravidanza per conto di un'altra donna, è contraria all'ordine pubblico. Hanno avuto ragione, quindi, i giudici di appello a negare effetti al provvedimento straniero ottenuto negli Stati Uniti, tanto più che, ad avviso della Suprema Corte,un simile diniego non lede il diritto al rispetto della vita privata e familiare della coppia di coniugi garantito dall'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, né l'interesse superiore del minore tutelato dalla Convenzione sui diritti del fanciullo.
(La pronuncia è reperibile nel sito
www.courdecassation.fr).

 

Protezione internazionale

Sul diritto di appello nei casi in cui le autorità nazionali rifiutino la concessione della protezione internazionale a un cittadino extracomunitario la parola passa alla Corte di giustizia dell'Unione europea. Con decisione del 25 maggio 2011 [2011] UKSC 22, (FA (Iraq) v. Secretary of State for the Home Department), la Corte suprema inglese, prima di pronunciarsi su tale questione, ha preferito chiamare in causa i giudici Ue sottoponendo taluni quesiti interpretativi. La vicenda ha preso il via da una richiesta di asilo e di protezione internazionale presentata alle autorità amministrative inglesi da un cittadino di appena 15 anni arrivato dall'Iraq nel Regno Unito senza alcun accompagnamento. Le sue domande erano state respinte al pari dei suoi ricorsi. Il tribunale di primo grado, in particolare, aveva sostenuto che avverso il diniego relativo alla richiesta di protezione umanitaria non era prevista un'impugnazione in sede giurisdizionale. Il richiedente aveva presentato un ricorso in appello sostenendo che l'assenza di un rimedio giurisdizionale violava il principio di equivalenza in base al diritto Ue. I giudici inglesi hanno condiviso questa posizione, ma il Segretario di Stato ha impugnato il provvedimento dinanzi alla Corte Suprema
che, prima di decidere, ha presentato un ricorso in via pregiudiziale alla Corte Ue (la pronuncia è reperibile nel sito www.supremecourt.gov.uk. Sulla protezione internazionale si veda il post del
25 novembre 2010. Sulla GUUE del 19 maggio 2011 L 132, p. 1 ss., è stata pubblicata la direttiva 2011/51/Ue dell'11 maggio 2011 che modifica la direttiva 2003/109/Ce per estenderne l'ambito di
applicazione ai beneficiari di protezione internazionale).

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