Cambio di nome: nessuna violazione per il no nel caso di scelta di un nome non comune

Gli Stati possono adottare norme interne che impediscano il cambio di nome se la scelta del nuovo appellativo ricade su un nome non comune, che è il frutto di una sostanziale invenzione del richiedente. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza Sahiner contro Austria (ricorso n. 21669/21) depositata il 3 giugno (CASE OF SAHINER v. AUSTRIA). A rivolgersi a Strasburgo è stata una cittadina austriaca che aveva chiesto di modificare il suo nome da “Özlem”, di origine turca e attribuito al momento della nascita in Austria, a “Lemilia”. La donna sosteneva di essere conosciuta con questo nome tra amici e familiari, nonché tra i colleghi e di avere già cambiato il cognome abbandonando quello del padre a favore di quello della madre. Proprio per segnare il distacco dal padre invocava anche il cambio del nome. Le autorità amministrative austriache avevano respinto la richiesta rilevando che “Lemilia” non era un nome comune come richiesto dalla normativa interna e che non era contenuto in un database che conteneva 36.00 nomi femminili. Dopo una lunga vicenda giudiziaria interna, che aveva portato anche all’intervento della Corte costituzionale, non ottenendo quanto richiesto, la donna si è rivolta alla Corte europea adducendo una violazione dell’articolo 8 della Convenzione che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Strasburgo riconosce che la scelta del nome rientra nell’articolo 8, ma non ha ritenuto che nel caso di specie vi fosse stata una violazione dell’indicata norma. La Corte ritiene che la previsione, da parte degli Stati, di limiti al cambio di nome che, per di più, in questo caso non era stato registrato in altri Stati, può essere funzionale alla tutela di un interesse pubblico, permettendo di evitare che nomi del tutto inventati siano iscritti nei registri dello stato civile. Inoltre, per Strasburgo, in quest’ambito gli Stati hanno un ampio margine di discrezionalità. D’altra parte, osserva la Corte, l’obiettivo perseguito dalla donna ossia di prendere le distanze dal padre, poteva essere raggiunto scegliendo un altro nome comune. Per quanto riguarda, invece, l’identificazione della donna con il nuovo nome con il quale era conosciuta da amici, parenti e colleghi, la Corte sottolinea che la preclusione alla registrazione non impediva l’utilizzo tra familiari e amici e, quindi, non si può sostenere che il no al cambiamento del nome porti a una violazione dell’articolo 8 tanto più che è stato rispettato un giusto bilanciamento tra l’interesse pubblico e quello individuale. Esclusa, quindi, la violazione dell’articolo 8.

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