Sulla questione del calcolo dello spazio per i detenuti, con riguardo allo scomputo dalla superficie della cella a disposizione del detenuto, nel caso di letti a castello, è intervenuta la Corte di Cassazione, prima sezione penale, con la sentenza n. 12849 depositata il 3 aprile (12849). A ricorrere alla Suprema Corte era stato un detenuto secondo il quale il Tribunale di sorveglianza di Firenze aveva commesso un errore nel respingere il suo reclamo al fine di ottenere un risarcimento per detenzione inumana o degradante sofferta nel carcere di Padova. Il Tribunale aveva sostenuto “che l’ingombro dei letti singoli” non doveva “essere scomputato dalla superficie a disposizione di ciascun detenuto” in quanto i letti erano amovibili e “incastellabili”, consentendo così di liberare spazio. Non aveva alcun rilievo, inoltre, che i detenuti avessero scelto di tenere i letti separati sul pavimento della cella.
La Cassazione non ha condiviso questa modalità di calcolo e ha accolto il ricorso del detenuto dando continuità a quanto già sostenuto in diverse occasioni in cui è stato affermato che “l’ingombro del letto singolo, pur se amovibile, deve essere scomputato dalla superficie della cella a disposizione del detenuto”. Si tratta – osserva la Cassazione – di un arredo che anche se non fissato al pavimento “non è suscettibile, per il suo ingombro o peso” di facile spostamento da un punto all’altro della cella, incidendo così sullo spazio a disposizione. Pertanto, tenendo conto che, per evitare una violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che vieta trattamenti inumani o degradanti, è necessario considerare che lo spazio minimo di tre metri include unicamente la superficie che assicura il libero movimento nella cella, la Cassazione ha ritenuto fondate le ragioni del ricorso. Detraendo dalla superficie libera disponibile quella occupata dall’ingombro del letto singolo, infatti, si scende al di sotto della superficie di tre metri quadrati per detenuto, spazio indispensabile per non incorrere in una violazione dell’articolo 3. Annullata così l’ordinanza con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Venezia per un nuovo giudizio al fine di valutare “l’eventuale esistenza di fattori compensativi che comportino la possibilità di superare la forte presunzione di violazione dell’articolo 3 CEDU che deriva dalla costrizione di un detenuto in uno spazio europeo inferiore a 3 metri quadrati in una cella collettiva, secondo la sistematica della pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo 20/10/2016, Mursic c. Croazia“.
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