Anche il contumace ha diritto all’indennizzo per la durata eccessiva del processo

La Corte di cassazione, sezioni unite civili, con la sentenza n. 585/14 del 14 gennaio (legge Pinto) ha composto un contrasto giurisprudenziale interno alla stessa suprema corte sul diritto all’indennizzo per la durata eccessiva del processo a una vittima di un procedimento troppo lungo rimasta contumace. Secondo un orientamento, l’indennizzo doveva essere concesso seppure calcolato dal momento della costituzione in giudizio, secondo un altro orientamento, invece, l’equa riparazione non avrebbe dovuto essere corrisposta proprio a causa della non costituzione in giudizio. Nel caso in esame, che riguardava una causa di divisione ereditaria iniziata nel 1976 e ancora pendente in appello, il ricorrente aveva ottenuto dalla Corte di appello di Perugia un’equa riparazione per il danno non patrimoniale ma l’importo era stato calcolato dal momento della sua costituzione in giudizio. Una conclusione non condivisa dalla Suprema Corte.

La Cassazione è partita dal presupposto che l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo non pone alcun limite al diritto alla durata ragionevole del processo chiarendo che esso spetta a “ogni persona”. Nello stesso senso la legge Pinto che non condiziona l’indennizzo a una partecipazione attiva nel processo. Pertanto, non si può escludere il contumace dalla garanzia del diritto alla durata ragionevole del processo previsto per di più dall’articolo 111 della Costituzione e dal diritto alla riparazione in caso di violazione. D’altra parte, la contumacia non è in alcun modo indice di un disinteresse nell’esito del procedimento e non è escluso che il contumace subisca lo stesso disagio psicologico patito da colui che partecipa al procedimento. Di conseguenza, la Cassazione ha cassato la sentenza rinviando gli atti alla Corte di appello di Perugia.

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