Il giornalista ha diritto a non svelare la propria fonte anche se quest’ultima rivela la sua identità

La Corte europea dei diritti dell’uomo blinda la protezione delle fonti dei giornalisti. Se sul piano nazionale, in diversi Stati, la libertà di stampa subisce attacchi e se l’Italia è particolarmente inerte nell’adeguarsi agli standard internazionali, dinanzi alla Corte di Strasburgo i giornalisti ricevono una tutela rafforzata tenendo conto che i reporter non solo esercitano il proprio diritto alla libertà di espressione ma permettono la realizzazione del diritto della collettività a ricevere informazioni di interesse generale. Questa volta la protezione riguarda la tutela delle fonti. La Corte europea, infatti, con la sentenza depositata il 5 ottobre nel caso Becker contro Norvegia (ricorso n. 21272/12 CASE OF BECKER v. NORWAY), ha blindato i giornalisti che hanno diritto a non svelare l’identità della propria fonte e a non comunicare i propri contatti anche quando la stessa fonte dichiara di aver fornito il materiale al reporter. Una conclusione, la prima di questo genere, che colloca la tutela delle fonti in un contesto più ampio perché, in via di fatto, afferma il diritto del giornalista a non svelare particolari sulla propria attività, anche con riguardo ad indagini penali. Questi i fatti. Una giornalista, che curava la versione online di un quotidiano norvegese, aveva pubblicato un articolo su una società per azioni mettendo in dubbio la liquidità della società. Il titolo della società, all’indomani dell’articolo, era crollato in borsa ed era emerso che le notizie contenute nell’articolo provenivano da una lettera che il signor X aveva consegnato al giornalista e che mostrava le difficoltà della società petrolifera norvegese.

Era iniziato un procedimento penale nei confronti di colui che aveva spedito la lettera, conclusosi con la condanna per manipolazione del mercato. Il procuratore aveva convocato la giornalista chiedendole di illustrare i suoi contatti con la fonte, ma la professionista si era rifiutata di farlo ed era stata condannata a versare 3.700 per non aver collaborato con la giustizia.

Di qui l’azione alla Corte europea che ha dato ragione su tutta la linea alla giornalista. E’ evidente – osserva Strasburgo – che si è verificata un’ingerenza nel diritto alla libertà di espressione della reporter, garantito dall’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Nel caso in esame, le autorità nazionali non avevano ordinato alla giornalista di svelare la fonte, ma l’avevano interrogata per verificare se aveva avuto contatti con la fonte che aveva già dichiarato di aver consegnato il materiale controverso al giornalista. Strasburgo ha precisato che anche nei casi in cui una fonte agisce in cattiva fede, svelando al giornalista informazioni per fini illeciti, la tutela delle fonti dei giornalisti deve essere assicurata perché la condotta della fonte non influisce sul diritto del giornalista. Così – afferma la Corte – la protezione del giornalista in base all’articolo 10 “non può essere automaticamente rimossa per la condotta della fonte”. A ciò si aggiunga che la protezione del diritto del giornalista va assicurata anche quando l’identità della fonte è già conosciuta dalle autorità d’indagine. Nel caso in esame, ad avviso della Corte, le autorità nazionali non hanno considerato, badando solo all’indagine nei confronti di colui che aveva spedito la lettera, che se un giornalista collabora svelando la fonte o fornendo particolari sui suoi contatti, questo produce un chilling effect sulla libertà di stampa perché altre fonti potrebbero essere intimorite e non collaborare più con il giornalista. E questo anche quando la fonte ha già svelato la propria identità. Di qui la condanna alla Norvegia e l’obbligo per lo Stato in causa, malgrado il giornalista non avesse richiesto alcun indennizzo, di rimborsare al cronista la multa pagata pari a 3.700 euro.

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