La Corte europea interviene sul rapporto tra giuramento necessario prima di assumere una carica pubblica e diritti convenzionali

Il giuramento dinanzi a Dio per assumere la carica di Presidente della Repubblica irlandese non è in contrasto con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Per la Corte di Strasburgo, che si è pronunciata il 19 ottobre 2021 con la decisione Shortall e altri contro Irlanda (ricorso n. 502721/18, SHORTALL AND OTHERS v. IRELAND), i politici irlandesi che si sono rivolti alla Corte per violazione dell’articolo 9, che riconosce la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, non hanno dimostrato di essere vittime di una violazione, ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione, né hanno fornito prove sul rischio di diventare possibili potenziali vittime. Di qui, la decisione di inammissibilità del ricorso. Sono stati alcuni parlamentari irlandesi a contestare la formula prevista nella Costituzione che richiede, nel momento dell’entrata in carica, che il Presidente sottoscriva pubblicamente, alla presenza delle Camere, dei giudici della Corte Suprema e dell’Alta Corte, questa dichiarazione “Al cospetto di Dio onnipotente, mi impegno e dichiaro solennemente”. Stessa formula è prevista per i membri del Consiglio di Stato. Ad avviso dei ricorrenti, qualora aspirassero a ricoprire tali ricariche non potrebbero svolgere le proprie funzioni se non facendo un giuramento che non coincide con il proprio credo religioso. La Corte europea ha chiarito che il ricorso può essere presentato, in base alle regole convenzionali, solo quando un individuo è direttamente vittima di una violazione convenzionale e non quando ritiene che una disposizione sia in contrasto con la Convenzione. E’ anche ammissibile un ricorso nei casi in cui l’individuo sostenga di essere una potenziale vittima, a patto che fornisca prove ragionevoli e convincenti sulla probabilità di essere vittima di una violazione. I ricorrenti, quindi, avrebbero dovuto dimostrare che la nomina nel Consiglio di Stato era una possibilità realistica, mentre non è sufficiente possedere unicamente i requisiti per poter essere nominati. Respinto il ricorso, però, la Corte ha tenuto a sottolineare che, malgrado gli Stati abbiano un ampio margine di apprezzamento nelle questioni relative ai rapporti Stato-religione, è in ogni caso indispensabile garantire il rispetto della Convenzione tenendo conto che la salvaguardia delle tradizioni non solleva dall’adempimento degli obblighi convenzionali. Una conclusione che mostra, a nostro avviso, che le norme non sono in sé conformi alla Convenzione anche se, nel caso di specie, gli individui ricorrenti, per mancanza di prove circa la lesione del diritto, non sono stati vittima di una violazione.

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