Le sentenze CEDU non incidono sulle pronunce interne passate in giudicato se mancano i presupposti per l’accesso al rito abbreviato

La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Scoppola contro Italia del 17 settembre 2009 non può incidere sulle sentenze passate in giudicato pronunciate all’esito di un procedimento al quale non era applicabile una legge più favorevole con riferimento all’accesso al rito abbreviato. Lo ha precisato la Corte di cassazione, prima sezione penale, con la sentenza n. 5193/13 del 1° febbraio 2013 (5193) che ha preso il via dalla decisione del giudice dell’esecuzione di non concedere una riduzione di pena prevista per il rito abbreviato, sostitutiva della pena dell’ergastolo, a un condannato che pure aveva invocato la sentenza CEDU del 17 settembre 2009. La Cassazione ha condiviso tale conclusione evidenziando l’assenza di ogni analogia tra la fattispecie sottoposta all’esame della CEDU e quella all’origine della vicenda che ha condotto alla sentenza della Cassazione del 1° febbraio alla quale non poteva essere applicato il rito abbreviato. Il principio di legalità riconosciuto dall’articolo 7 della Convenzione europea – ha osservato la Cassazione – “non può essere ancorato al mero dato formale delle diverse leggi succedutesi tra l’epoca di commissione del reato e la pronuncia della sentenza definitiva” perché deve essere coordinato con le modalità di accesso al rito speciale e alla pena da applicare. La domanda di rito abbreviato, nel caso di specie, era stata formulata “quando tale opzione non era consentita”, allorquando il procedimento era pendente in Cassazione. Di conseguenza la sentenza Scoppola non incide sulla vicenda in esame e, per la Cassazione, non è neanche necessario sollevare una questione di costituzionalità per contrarietà delle norme interne con l’articolo 117 della Costituzione.

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