Pubblicazione di intercettazioni: nessuna violazione della presunzione d’innocenza

La pubblicazione di intercettazioni relative a un’indagine per corruzione, non riversate nel fascicolo d’indagine ma contenute in un articolo di stampa non lede la presunzione d’innocenza ed è compatibile con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Lo ha stabilito la Corte dei diritti dell’uomo con la sentenza Tadic contro Croazia depositata il 28 novembre ricorso (n. 25551/18, CASE OF TADIĆ v. CROATIA) con la quale la Corte rafforza la tutela della libertà di stampa e chiarisce che non si può sostenere che giudici professionisti possano essere influenzati da articoli apparsi sulla stampa o da rumors. Con la conseguenza che l’imputato non può sostenere che è stata violata la presunzione d’innocenza per il solo fatto che i media hanno pubblicato numerosi articoli, ma è tenuto a dimostrare che la decisione del collegio giudicante è stata condizionata dalla campagna di stampa. La vicenda aveva al centro un cittadino croato accusato di aver cospirato per influenzare un processo dinanzi alla Corte suprema nei confronti di un noto politico accusato e già condannato per crimini di guerra. Il ricorrente aveva avvicinato il Presidente della Corte Suprema chiedendogli di affidare il caso a un determinato giudice. L’uomo era stato intercettato ed era così venuto alla luce il suo tentativo di corrompere i giudici. Intanto, un quotidiano aveva pubblicato notizie sul contenuto delle intercettazioni, dando conto dei dialoghi che l’uomo aveva avuto con i magistrati. In ogni caso, la Corte Suprema aveva confermato la condanna dell’uomo politico. Il ricorrente aveva subito il processo ed era stato condannato a due anni per tentata corruzione. Così, si è rivolto a Strasburgo sostenendo che era stato violato l’articolo 6 della Convenzione europea e, in particolare, il suo diritto alla presunzione di innocenza in quanto, a suo dire, la pubblicazione delle intercettazioni sul giornale aveva influenzato i giudici. Tesi bocciata dalla Corte. In alcuni casi – osserva Strasburgo – una campagna mediatica virulenta potrebbe influire negativamente sull’equità del processo, ma la copertura di fatti di interesse generale deve essere garantita perché parte essenziale della libertà di stampa. Nel caso in esame, le intercettazioni pubblicate non erano certo state utilizzate come prova per arrivare alla condanna ed è privo di rilievo che fossero state pubblicate 8 settimane prima dell’inizio del processo. Non solo. La Corte evidenzia che il collegio giudicante era costituito da giudici professionisti, esperti e altamente qualificati e, quindi, non si può ritenere che avrebbero potuto essere influenzati dalla stampa o da rumors che arrivavano dall’esterno o che una “pubblicità” negativa sulla figura dell’imputato fosse in grado di incidere sull’equità del processo. Spettava poi al ricorrente dimostrare il condizionamento sui giudici perché non è sufficiente che l’imputato abbia la sensazione o il timore dell’incidenza dell’articolo di stampa sull’esito del processo. Di conseguenza, la pubblicazione dell’articolo non ha compromesso il diritto alla presunzione d’innocenza e, quindi, non vi è stata alcuna violazione della Convenzione europea.

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