La Corte di giustizia dell’Unione europea, con sentenza dell’11 aprile 2013 (cause riunite C-335/11 e C-337/11, HK Danmark, C-335:11) precisa che la nozione di disabilità, anche ai fini dell’applicazione della direttiva 2000/78 del 27 novembre 2000 che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, deve essere effettuata in base alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 26 novembre 2009, ratificata dall’Unione europea. Questo vuol dire, precisa la Corte, che nella nozione di handicap, non fornita dalla direttiva 2000/78, deve essere inclusa ogni limitazione “risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche” che ostacola “la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con altri lavoratori” e che gli Stati devono adottare normative in grado di garantire questo risultato.
Il quesito pregiudiziale è stato presentato dalla Corte marittima e commerciale danese alle prese con una controversia tra un sindacato e un datore di lavoro a seguito della decisione di quest’ultimo di licenziare con preavviso ridotto due lavoratrici con handicap a seguito di una malattia, alle quali il datore di lavoro non aveva proposto una riduzione dell’orario lavorativo. Per la Corte di giustizia, la direttiva Ue impone al datore di lavoro l’adozione di misure che consentano a una persona disabile di accedere in modo effettivo a un impiego e di consentire al lavoratore lo svolgimento dell’attività. E’ vero che la legislazione danese prevede l’applicazione del preavviso ridotto in tutti i casi in cui un lavoratore abbia fatto 120 giorni di assenza nel corso di un anno, ma questa applicazione generalizzata costituisce una discriminazione indiretta tanto più che tratta in modo uguale persone che si trovano in una situazione differente, causando una situazione di svantaggio per il lavoratore disabile. Riguardo poi alla nozione di disabilità, la Corte osserva che, in base all’articolo 216 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, se l’Unione conclude accordi internazionali questi ultimi prevalgono sugli atti dell’Unione. Quindi, nel caso di specie, è obbligatorio richiamare la nozione di disabilità della Convenzione Onu in base alla quale sono persone con disabilità “coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di uguaglianza con gli altri”. Questo vuol dire che anche una malattia curabile o non curabile può provocare tale stato e, quindi, gli Stati membri sono tenuti a non adottare normative che per quanto paritarie abbiano in sé gli elementi per provocare nella situazione di svantaggio per i lavoratori disabili, ma devono prevedere misure, come la riduzione dell’orario di lavoro, che consentano alla persona disabile di svolgere la prestazione lavorativa.
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