Sull’attribuzione del cognome interviene la Corte europea

Gli Stati non possono adottare regole in materia di attribuzione del cognome a seguito di matrimonio che comportino una discriminazione tra uomo e donna. Lo ha precisato la Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza del 9 novembre con la quale ha condannato la Svizzera per violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea, che garantisce il rispetto della vita privata e familiare e dell’articolo 14 che vieta ogni discriminazione e ha  “bocciato” le norme di conflitto svizzero in materia di legge applicabile al cognome (Losonci Rose e Rose contro Svizzera, ricorso n. 664/06, http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?action=html&documentId=876974&portal=hbkm&source=externalbydocnumber&table=F69A27FD8FB86142BF01C1166DEA398649).

A Strasburgo si era rivolto un cittadino ungherese e sua moglie, con doppia nazionalità svizzera e francese. La coppia aveva chiesto di mantenere, anche dopo il matrimonio, i propri rispettivi cognomi piuttosto che optare per un doppio cognome separato da un trattino, tanto più che la donna era nota al pubblico con il proprio cognome. In particolare, il marito, aveva chiesto, in base all’articolo 37 della legge di diritto internazionale privato svizzero di applicare il proprio diritto nazionale in materia di attribuzione del cognome. L’istanza era stata respinta e quindi al momento del matrimonio la coppia aveva scelto il cognome della moglie come cognome di famiglia, secondo quanto previsto dal diritto svizzero. I ricorrenti, però, avevano sostenuto l’incostituzionalità di tale regime tanto più che se si fosse trattato di un marito con cittadinanza svizzera e una donna straniera, quest’ultima, in base al diritto svizzero (art. 37 legge di diritto internazionale privato) avrebbe potuto scegliere  il proprio cognome in base alla legge della propria cittadinanza.

La Corte, che ha dato ragione ai ricorrenti, riconosce che gli Stati hanno un margine di discrezionalità nell’adozione di misure idonee a garantire l’unità familiare, ma a patto di non creare diseguaglianze tra uomini e donne all’interno della famiglia. Poiché il marito non aveva potuto mantenere il proprio cognome, che è un aspetto centrale dell’identità personale, per la Corte vi è stata una violazione della Convenzione.

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