No alla detenzione di immigrati irregolari nei casi di mancato rispetto del provvedimento di allontanamento

Adesso lo dice anche la Corte di giustizia Ue, mettendo nero su bianco che, in pratica, la previsione di una pena detentiva a carico di cittadini di Paesi terzi che non adempiano all’obbligo di lasciare il territorio nazionale, viola i diritti fondamentali. Con la sentenza depositata il 28 aprile nella causa C-61/11 (El Dridi, http://curia.europa.eu/jurisp/cgi-bin/form.pl?lang=it&jurcdj=jurcdj&newform=newform&docj=docj&docop=docop&docnoj=docnoj&typeord=ALLTYP&numaff=&ddatefs=21&mdatefs=4&ydatefs=2011&ddatefe=28&mdatefe=4&ydatefe=2011&nomusuel=&domaine=&mots=&resmax=100&Submit=Rechercher) la Corte ha, infatti, chiarito che la procedura di allontanamento prevista dalla legislazione italiana è contraria alla direttiva 2008/115/Ce del 16 dicembre 2008 recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, che l’Italia non ha recepito nel termine di scadenza fissato per il 24 dicembre 2010. Ai giudici di Lussemburgo si era rivolta la Corte di appello di Trento alle prese con un ricorso presentato dal cittadino di un Paese terzo entrato irregolarmente in Italia. Espulso, non aveva rispettato il provvedimento ed era stato condannato in base all’art.14, comma 5 ter del DLGS 286/1998 a un anno di carcere. I giudici di appello, prima pronunciarsi nel merito, hanno posto alcuni quesiti pregiudiziali d’interpretazione sulla direttiva alla Corte Ue. Che è stata chiara: la procedura di allontanamento disposta dall’ordinamento italiano accompagnata in caso di mancato rispetto dalla reclusione è contraria alla direttiva la quale prevede che sia concesso agli immigrati un termine per la partenza volontaria. La detenzione, precisa la Corte, “rischia di compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito dalla direttiva, ossia l’instaurazione di una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare nel rispetto dei loro diritti fondamentali”. Di qui due conseguenze: il giudice interno deve disapplicare la normativa interna contraria al risultato della direttiva tenendo conto che essa, anche se non recepita, è già invocabile dai singoli contro lo Stato membro in quanto contiene disposizioni incondizionate e sufficientemente precise e deve assicurare l’applicazione retroattiva della pena più mite, secondo i principi costituzionali comuni agli Stati membri.

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