Massimizzazione dei profitti anziché la tutela dell’interesse collettivo. Le grandi aziende che operano nei sistemi alimentari e che detengono grandi quote di mercato, con ciò condizionandolo, in taluni casi costituiscono un rischio per l’eccessivo potere concertato nelle mani di pochi in un ambito – quello dei sistemi alimentari – che è cruciale anche nei casi di emergenze climatiche, sanitarie e crisi geopolitiche. Lo scrive il Relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto al cibo, Michael Fakhri, nel rapporto presentato all’Assemblea generale il 21 luglio 2025 (A/80/213, intitolato “Corporate power and Human Rights in food system”, right to food). Nel documento, il Relatore speciale sottolinea come un numero esiguo di aziende abbia accumulato un potere così grande nei sistemi alimentari da mettere a rischio la sicurezza alimentare. Necessari, quindi, interventi per realizzare mercati alimentari “equi e stabili” e portare anche all’affermazione della responsabilità di aziende nel caso di violazione dei diritti umani nei sistemi alimentari. Le grandi aziende hanno aumentato i tassi di emissione di gas serra, il degrado della biodiversità, l’inquinamento e le violazioni sistematiche dei diritti umani, talvolta anche a causa del massiccio utilizzo di grandi quantità di dati. Inoltre, a livello globale, l’inflazione, che ha portato a un enorme aumento dei prezzi dei prodotti alimentari in modo superiore rispetto all’aumento dei costi e dei rischi, ha evidenziato l’aggressività di queste aziende nel nome del profitto. Nel rapporto, il Relatore speciale è partito da un esame dell’economia dei sistemi aziendali nel settore alimentare e ha sottolineato gli ostacoli frapposti da alcune aziende del settore nei casi di adozione di normative sulle etichettature, con il frequente ricorso a vie legali per bloccarne l’applicazione.
Tra le novità nel settore, l’ingresso dirompente nelle aziende agroalimentari delle tecnologie digitali presenti sia nella creazione di input come la selezione predittiva delle piante o dell’utilizzo nell’ambito del credito e del commercio, sia nell’applicazione della robotica nel confezionamento e nella lavorazione degli alimenti, nella vendita al dettaglio con le piattaforme di e-commerce e nella tracciabilità lungo tutta la catena di approvvigionamento. Non mancano i rischi, con l’erosione dell’autonomia degli agricoltori e l’incidenza sui processi decisionali, lo sfruttamento dei dati e l’iniquità algoritmica, macchinari sempre più costosi, di frequente non disponibili per le popolazioni indigene, la diffusione di piattaforme digitali chiuse che, attraverso la concessione di licenze esclusive, impediscono l’ingresso di competitor sul mercato, con l’ulteriore grave pericolo di una progressiva sostituzione della manodopera. Allarme anche per i problemi legati alla sovranità e al controllo giurisdizionale in quanto – scrive Michael Fakhri – “gran parte dei dati generati dagli agricoltori del Sud del mondo sono archiviati in server situati nel Nord del mondo, soggetti così a giurisdizioni straniere e a condizioni aziendali”. Tra le raccomandazioni il rispetto dei principi Business and Human Rights e l’auspicio di una regolamentazione nella rivoluzione digitale che rischia di provocare più danni che benefici.
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