L’articolo 416 bis torna all’attenzione della Corte europea dei diritti dell’uomo che, con decisione resa pubblica il 2 ottobre, ha dichiarato inammissibile il ricorso nel caso Casamonica contro Italia (ricorso n. 21670/24, CASAMONICA v. ITALY). A rivolgersi a Strasburgo è stato uno dei componenti del clan Casamonica condannato dal Tribunale di Roma il 20 settembre 2021 per associazione a delinquere di stampo mafioso. Il verdetto, con poche modifiche, era stato confermato in appello e dalla Cassazione, con la conseguenza che il clan dei Casamonica era stato classificato come una struttura criminale di stampo mafioso, seppure di dimensioni ridotte e operativa in territori diversi da quelli tradizionalmente legati alla mafia.
Secondo il ricorrente la condanna è stata adottata in violazione dell’articolo 7 della Convenzione in base al quale “Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale” (nulla poena sine lege) perché i giudici nazionali avevano inquadrato le “nuove piccole mafie” nell’ambito dell’articolo 416 bis che invece risultava, a suo avviso, applicabile unicamente alla mafia intesa in senso tradizionale. In pratica, l’allargamento del perimetro di applicazione dell’articolo 416 bis si sarebbe sviluppato in sede giurisprudenziale dopo i fatti e quindi la condanna era in contrasto con l’articolo 7 della Convenzione in quanto non prevedibile. Una tesi bocciata dalla Corte europea che, ricostruito il quadro normativo e la prassi della giurisprudenza italiana, ha osservato che l’articolo 416 bis, paragrafo 8 già include organizzazioni criminali diverse dalla mafia facendo riferimento “ad altre organizzazioni”, senza che abbia rilievo, ai fini della qualificazione del reato, la denominazione formale. Ciò che conta, infatti, è il modus operandi e la finalità dell’organizzazione. È vero – prosegue la Corte – che la Corte di Cassazione ha applicato l’articolo 416 bis alle cosiddette nuove mafie solo a partire dal 2020, ossia dopo la commissione dei fatti per i quali il ricorrente era stato condannato, ma questo non è di per sé sufficiente a mettere in discussione la prevedibilità dell’illiceità e della condanna. Una nuova interpretazione della portata di un reato esistente può ugualmente essere considerata prevedibile ai fini dell’articolo 7 della Convenzione, purché sia ragionevole alla luce del diritto interno e coerente con l’essenza del reato. Nel caso in esame, i giudici nazionali non hanno fatto altro che applicare i criteri già stabiliti dall’articolo 416 bis, paragrafo 3 del codice penale, che valgono per organizzazioni criminali che sebbene diverse dalla mafia in termini storici e geografici, sono identiche in termini di strategia e di modalità di azione. Nel momento in cui è stata accertata in modo individualizzato la presenza di tutti gli elementi costitutivi del reato, in linea con quanto stabilito dall’articolo 7 della Convenzione, è da escludere una violazione di tale norma. Pertanto, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.
Aggiungi un commento