Mae: la Cassazione impone un esame individualizzato sulle condizioni di detenzione prima del sì alla consegna

Se manca un esame individualizzato che conduca ad escludere il rischio concreto di trattamento inumano o degradante la consegna in esecuzione di un mandato di arresto europeo va bloccata. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sesta sezione penale, con la sentenza n. 14191/25 depositata il 10 aprile con la quale è stato accolto il ricorso di un cittadino ungherese che si opponeva al suo trasferimento in Ungheria (14191). L’uomo era stato destinatario di un mandato di arresto europeo ai fini dell’esecuzione della sentenza di condanna definitiva a due anni di reclusione per reati di detenzione e spaccio di stupefacenti, pronunciata in Ungheria. La Corte di appello di Messina aveva disposto la consegna ma l’uomo ha impugnato il provvedimento rilevando che i giudici italiani non avevano proceduto a raccogliere informazioni dettagliate sull’esecuzione della pena, non considerando altresì le condizioni critiche nelle carceri ungheresi, testimoniate anche dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura in un rapporto del 2023.

Una tesi condivisa dalla Suprema Corte, secondo la quale la Corte di appello avrebbe dovuto accertare l’effettiva sussistenza di un trattamento inumano o degradante, ostativo alla consegna, anche attraverso l’acquisizione di informazioni individualizzate, in linea con quanto previsto dall’articolo 18 del decreto legislativo 22 aprile 2005, n. 69 (di recepimento della decisione quadro 2002/584 recante disposizioni in materia di mandato di arresto europeo e di procedure di consegna tra Stati membri, poi modificata dalla n. 2009/299/GAI), poi abrogato dall’articolo 12 del decreto legislativo n. 10 del 2021. Precisata la continuità normativa tra l’articolo 18 e l’articolo 2 del decreto legislativo n. 10/2021, la Cassazione ha osservato che la Corte di appello avrebbe dovuto applicare i criteri forniti dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza del 5 aprile 2016, C-404/15 e, quindi, avrebbe dovuto procedere  a richiedere allo Stato emittente “tutte le informazioni relative alle specifiche condizioni di detenzione previste per l’interessato”. Lo Stato di esecuzione, infatti, deve effettuare tale valutazione anche chiedendo un’integrazione delle informazioni allo Stato emittente rispetto alle fonti aperte. Lo Stato che effettua la richiesta, inoltre, non deve limitarsi a profili di carattere generale, ma deve fornire informazioni individualizzate “in relazione alla situazione riguardante il soggetto interessato alla procedura di consegna”. Così non era stato e, quindi, la Cassazione ha annullato la sentenza relativa alla consegna con rinvio per un nuovo esame del trattamento carcerario in Ungheria.

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