Sabotaggio dei gasdotti Nord Stream: la Cassazione chiede la valutazione dell’immunità funzionale

L’errore nella qualificazione giuridica dei fatti e la mancata valutazione approfondita circa l’immunità funzionale ha portato la Corte di Cassazione, sesta sezione penale, con la sentenza n. 34047 del 16 ottobre (34047) ad annullare la pronuncia della Corte di appello di Bologna con la quale era stato dato il via libera alla consegna alla Suprema Corte federale di Cassazione tedesca di un cittadino ucraino, ex alto militare dell’esercito, accusato di sabotaggio dei gasdotti Nord Stream 1 e Nord Stream 2. Gli atti di sabotaggio erano finalizzati a impedire la fornitura di gas dalla Russia alla Germania e si erano svolti sia a Lubmin sia in acque internazionali verso il Mar Baltico. La Cassazione ha osservato che il mandato di arresto europeo, emesso in base all’articolo 2, par. 2 della decisione quadro 2002/584/GAI recante disposizioni in materia di mandato di arresto europeo e di procedure di consegna tra Stati membri (poi modificata dalla n. 2009/299/GAI), che fa riferimento alla  voce sabotaggio (per il quale è prevista la consegna obbligatoria) non poteva essere eseguito perché la Corte di appello aveva qualificato i fatti come terrorismo mentre il capo d’imputazione arrivato dalla Germania era sabotaggio. Procedendo alla riqualificazione del reato attraverso il riferimento a una norma incriminatrice di diritto interno quale l’art. 280-bis del codice penale e “non rispettando la valutazione effettuata dall’autorità dello Stato emittente nell’inquadramento del reato”  – osserva la Suprema Corte – è stato violato il diritto di difesa. In aggiunta, l’udienza camerale si era svolta in videoconferenza con una modalità non prevista dalle autorità tedesche per il reato contestato. Ma c’è di più perché secondo la Cassazione, la Corte di appello avrebbe dovuto approfondire la questione se l’indagato godesse dell’immunità funzionale nel caso di sabotaggio inteso come atto di guerra. Inoltre, non era stato considerato che le autorità danesi avevano respinto la richiesta di procedere nei confronti dell’indagato e non era stato valutato che il fatto commesso non andava iscritto tra gli atti terroristici volti a colpire i civili, ma tra gli atti compiuti in stato di guerra con la conseguenza che, secondo il legale dell’indagato, andava concessa l’immunità trattandosi di un atto di guerra. Così è stata annullata la decisione della Corte di appello e la questione è stata rimessa ad altra sezione della Corte di appello di Bologna che dovrà valutare l’aspetto dell’immunità funzionale relativa alla commissione di un atto di guerra, nonché l’eventuale violazione del ne bis in idem e del diritto di difesa.

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