La decisione sull’esecuzione di un mandato di arresto emesso dall’autorità giudiziaria del Regno Unito deve essere assunta applicando le regole previste dall’accorso sugli scambi commerciali e la cooperazione tra l’Unione europea e il Regno Unito del 24 dicembre 2020 perché le norme fissate dalla legge n. 69/2005 vanno applicate solo sul piano procedimentale, con riguardo alle modalità e ai tempi di adozione della decisione. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, sesta sezione penale, con la sentenza n. 37224 depositata il 14 novembre (37224). A rivolgersi alla Cassazione è stato un cittadino polacco nei cui confronti era stato emesso dalle autorità del Regno Unito un mandato di arresto per il reato di associazione a delinquere finalizzata ad alcuni reati fiscali e al riciclaggio. La Corte di appello di Brescia aveva dato il via libera alla consegna e l’uomo ha impugnato la decisione dinanzi alla Corte di Cassazione sia per la mancata traduzione del mandato di arresto sia per altri motivi legati al rispetto dell’equo processo. La Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso, ha chiarito che nel caso in esame va applicato l’Accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione tra Ue e Regno Unito e non la legge n. 69/2005 (poi modificata decreto legislativo n. 10 del 2 febbraio 2021, con la quale è stata recepita la decisione quadro 2002/584 recante disposizioni in materia di mandato di arresto europeo e di procedure di consegna tra Stati membri (poi modificata dalla n. 2009/299/GAI).
Inoltre, la Suprema Corte ritiene che il difetto legato alla mancata traduzione possa essere invocato solo se il soggetto interessato dimostri di aver subito un pregiudizio illegittimo a seguito della mancata traduzione e solo con il fine di rimuovere una situazione di svantaggio processuale ma, in questo caso, il ricorrente non aveva richiamato alcun pregiudizio, oltre ad essere perfettamente a conoscenza dei motivi dell’arresto e delle udienze. La Cassazione ha anche escluso una violazione del principio di proporzionalità ex articolo 597 dell’Accordo del 2020 e ha ribadito che l’autorità giudiziaria italiana non può sindacare la scelta di uno Stato di emettere il mandato di arresto per lo svolgimento del processo anche se in quel Paese è ammesso il processo in contumacia. In particolare, per quanto riguarda la proporzionalità, la Cassazione si è allineata alla posizione della Corte di giustizia dell’Unione europea la quale ha precisato che sebbene la violazione del principio di proporzionalità non sia incluso tra le ragioni di rifiuto della consegna ai sensi dell’articolo 524 dell’Accordo, essa è implicita in ragione dell’obbligo di rispettare i diritti fondamentali fissato dalla Carta Ue. Ad avviso della Cassazione, la Corte di appello di Brescia ha effettuato la verifica del rispetto del principio di proporzionalità anche alla luce della gravità dei fatti contestati. Respinto, così, il ricorso.
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