Sulla trascrizione del matrimonio concordatario è intervenuta la Corte di Cassazione, terza sezione civile, con l’ordinanza n. 24409/2025 depositata il 2 settembre 2025 (ordinanza) con la quale ha precisato che, nel caso di trascrizione tardiva, uno dei due coniugi può opporsi senza che sorga alcuna forma di responsabilità. A rivolgersi alla Cassazione è stata una donna alla quale la Corte di appello di Messina non aveva concesso il risarcimento del danno da parte della Curia di Messina per la mancata trascrizione del matrimonio concordatario. La coppia, al momento del divorzio, aveva scoperto che il matrimonio celebrato in Chiesa non era stato trascritto. La ricorrente aveva chiesto la trascrizione tardiva per poi procedere alla separazione giudiziale, ma il marito aveva negato il proprio consenso. La domanda era stata respinta sia in primo grado sia in secondo grado. Una conclusione condivisa dalla Cassazione secondo la quale l’articolo 8 della legge 25 marzo 1985 n. 121, attuativa degli accordi di modifiche dei Patti lateranensi tra Italia e Santa Sede, ammette che la trascrizione possa essere effettuata anche successivamente rispetto alla celebrazione del matrimonio, anche su istanza di uno dei due coniugi, ma deve sussistere, a differenza di quanto previsto dai Patti Lateranensi del 1929, il consenso, anche tacito, di entrambi i coniugi. Il rifiuto a prestare il consenso, opposto dal marito, non è quindi “un atto contra ius“. Con la celebrazione del matrimonio concordatario – osserva la Suprema Corte – i nubendi “non si scambiano promesse di future nozze ma compiono un atto idoneo, da un lato, a concludere un matrimonio religioso e, dall’altro, anche di per sé idoneo a produrre effetti civili a condizione, però, che la richiesta di trascrizione sia fatta per iscritto dal parroco del luogo dove il matrimonio è stato celebrato, non oltre i cinque giorni dalla celebrazione”. Il consenso è comunque sempre necessario tanto più che, decorso il tempo, non si può più presumere l’assenso del coniuge rispetto al momento della celebrazione del matrimonio. Il tempo trascorso, quindi, impone la sussistenza del consenso che non si può ricavare dall’atto della celebrazione del matrimonio. Respinto così il ricorso della donna.
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