L’Agenzia europea per i diritti fondamentali ha pubblicato uno studio sulla digitalizzazione della giustizia per fare in modo che il percorso scelto dagli Stati sia guidato da un approccio basato sul rispetto dei diritti umani fondamentali (FRA – digitalizzazione). Nel volume, intitolato “Digitalising Justice: a fundamental rights-based approach”, sono esaminati 31 strumenti digitali in diversi Stati membri per verificare se tali strumenti siano applicati e monitorati nell’attuazione da personale specializzato e se i possibili rischi di violazione dei diritti umani siano valutati in via preventiva. L’Agenzia riconosce i numerosi vantaggi che possono derivare da tale impiego anche con riguardo all’accesso alla giustizia e all’efficienza, ma chiarisce che ciò può avvenire solo in collegamento con la tutela dei diritti umani. Per l’Agenzia, proprio per individuare i rischi sin dall’inizio, è indispensabile che anche i pratici e coloro che sono impegnati nel mondo della giustizia siano in grado di identificare, prima dell’utilizzo stesso di tali strumenti, i rischi che ne possono derivare. Al tempo stesso, l’ingresso di nuove tecnologie deve portare a una riduzione del formalismo giudiziario per evitare sentenze di “condanna” come avvenuto nel caso Patricolo contro Italia, in cui, con una pronuncia del 2024, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stigmatizzato il sistema italiano vigente all’epoca dei fatti in quanto, poiché all’epoca (2015) la Cassazione non era attrezzata per il deposito in via telematica di documenti informatici, era stata richiesta un’attestazione di conformità della copia cartacea della relazione di notificazione dell’originale telematico con la conseguenza che, in caso di mancata autenticazione delle copie di un documento elettronico, di fatto s’impediva l’accesso alla giustizia. È evidente che l’introduzione di nuovi strumenti deve essere funzionale alla riduzione del formalismo giudiziario.
Nello studio sono passati in rassegna gli strumenti più utilizzati in sette Paesi (Austria, Estonia, Francia, Italia, Lettonia, Polonia e Portogallo): dall’utilizzo di videoconferenze alle semplificazioni amministrative, dall’accesso alle informazioni sulle piattaforme ai sistemi di anonimizzazione. Secondo l’Agenzia, malgrado il supporto fornito dagli stessi operatori della giustizia, manca un’adeguata conoscenza dei rischi che possono derivare dall’impiego di tali strumenti su alcuni diritti fondamentali come quello all’equo processo e alla protezione dei dati che di frequente non vengono valutati adeguatamente nella fase di design e di sviluppo dei tools.
Per arginare questi rischi, l’Agenzia chiede alle autorità nazionali che decidono di utilizzare questi strumenti, di non sacrificare sull’altare della velocità diritti come quello alla privacy e alla protezione dei dati, di prevedere, prima dell’utilizzo, incontri con esperti sui diritti umani in modo che possa essere tenuto in conto l’impatto sui diritti, anche con riguardo a categorie più vulnerabili come le persone con disabilità, nonché considerare che non ogni persona ha un elevata capacità di accedere a strumenti digitali, situazione che richiede, proprio a causa del “digital divides”, che siano operative alternative. In ultimo, l’Agenzia richiede una formazione degli operatori non solo sotto il profilo dell’impiego degli strumenti tecnologici, ma anche del rispetto dei diritti umani e dei rischi che potrebbero arrivare dall’impiego della tecnologia.
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