Favoreggiamento dell’immigrazione irregolare: Lussemburgo boccia l’incriminazione di una madre che porta con sé la figlia minorenne

Una cittadina extra Ue che entra con la figlia minorenne, in modo irregolare, sul territorio di uno Stato membro non può essere accusata di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare perché sta adempiendo ai suoi obblighi di responsabilità genitoriale. Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza depositata il 3 giugno 2025, nella causa C-460/23 (Kinsa, C-460:23 immigrazione), resa su rinvio pregiudiziale del Tribunale di Bologna. Questi i fatti. Una cittadina di un Paese terzo che, con due minorenni (figlia e nipote), aveva cercato di varcare la frontiera aeroportuale di Bologna, era stata arrestata, in base alla legge italiana, per il reato di favoreggiamento dell’ingresso illegale. Il Tribunale di Bologna, prima di pronunciarsi, ha chiesto alla Corte di giustizia di chiarire l’articolo 12 e 1 della direttiva 2002/90 sul favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali e stabilire se la condotta della donna possa essere qualificata come “assistenza umanitaria” e non rientrare così “nei comportamenti illeciti di favoreggiamento dell’ingresso illegale previsti all’articolo 1, paragrafo 1, lettera a) di tale direttiva, dato che consiste nell’agevolare l’esercizio, da parte delle minori interessate, dei diritti loro garantiti dalla Carta”. La Corte è netta nel respingere l’inquadramento dell’azione della donna come favoreggiamento dell’immigrazione illegale perché si trattava, in realtà, dell’adempimento degli obblighi di responsabilità genitoriale o personale che la donna aveva in quanto affidataria delle minori. È evidente – osservano gli eurogiudici – che una diversa interpretazione costituirebbe “un’ingerenza particolarmente grave nel diritto al rispetto della vita familiare e dei diritti del minore” sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. La donna aveva l’obbligo di occuparsi delle minorenni, di garantire il loro benessere e sviluppo e, quindi, non è possibile ritenere che non avrebbe dovuto condurre con sé figlia e nipote. L’esistenza di una vita familiare – prosegue Lussemburgo – “è una questione di fatto dipendente dalla realtà pratica di stretti legami familiari” ed è indiscutibile che “la possibilità per un genitore e il figlio di essere insieme rappresenta un elemento fondamentale della vita familiare”. Questo porta la Corte di giustizia a concludere che il genitore che conduce con sé il minore e lo fa entrare in modo irregolare sul territorio non commette favoreggiamento dell’ingresso illegale. Inoltre, la Corte di giustizia osserva che la donna aveva presentato la domanda di protezione internazionale e, quindi, non avrebbe più dovuto essere considerata in situazione di soggiorno irregolare nel territorio italiano almeno fino al momento dell’adozione di una decisione su tale istanza e non poteva incorrere in sanzioni penali “né a causa del suo proprio ingresso illegale nel territorio italiano, né a causa del fatto di essere stata accompagnata, al momento di tale ingresso, da sua figlia e dalla sua nipote di cui è effettivamente affidataria”. Una conclusione che – come precisa la Corte – è anche in linea con il Protocollo di Palermo sul traffico dei migranti che ha sì l’obiettivo di criminalizzare questa condotta, ma proteggendo, al tempo stesso, i diritti dei migranti tra i quali vi è, in primo luogo, la valutazione della propria istanza circa la protezione internazionale. In ultimo, la Corte sottolinea che se il giudice del rinvio non può interpretare il diritto interno in modo conforme al diritto dell’Unione, egli deve comunque “assicurare…la tutela giuridica spettante ai singoli in forza” degli articoli 7 e 24 della Carta, garantendone la piena efficacia e disapplicare, così, l’articolo 12 sul testo unico sull’immigrazione.

 

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