La diffusione attraverso i social media di messaggi che inneggiano alla jihad, inclusa la condivisione di video in cui si esalta la commissione da parte dei musulmani di atti finalizzati a compiere la jihad, costituisce istigazione a delinquere ed è così corretta la misura della custodia cautelare. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, prima sezione penale, con la sentenza n. 20577 depositata il 3 giugno (20577) con la quale la Corte ha respinto il ricorso di un uomo destinatario, con ordinanza del Tribunale della libertà di Bologna, della misura cautelare in carcere in quanto, inuma primo tempo, indiziato di delitti di cui all’articolo 270 bis (associazione con finalità di terrorismo anche internazionale) e 270 sexties (condotte con finalità di terrorismo) del codice penale. L’ordinanza era stata modificata dal Tribunale del riesame che ha richiamato unicamente l’articolo 414 del codice penale (istigazione a delinquere) annullando il provvedimento in relazione alla fattispecie associativa. Una conclusione condivisa dalla Suprema Corte la quale ha respinto la tesi dell’indagato era ritenuto che vi fossero gravi indizi di colpevolezza con riguardo al reato anche per la diffusione del pensiero jihadista via social. È vero – scrive la Cassazione – che alcuni comportamenti “contestati al ricorrente si sono esauriti nel suo foro interiore, e sono dunque penalmente irrilevanti (l’ascolto di canti e preghiere, la visione di filmati, i discorsi fatti tra sé e sé in auto)”, ma il ricorrente ha anche condotto alcuni atti di apologia del terrorismo verso terzi. È stata così corretta la misura fondata sull’articolo 414 del codice penale perché si è verificata l’istigazione a delinquere che si configura quale reato di pericolo concreto. La diffusione di un documento di contenuto apologetico, mediante l’inserimento nel proprio sito internet senza vincoli di accesso, con grande potenzialità diffusiva indefinita per la Corte di Cassazione rientra senza dubbio nel perimetro dell’articolo 414. La Corte ha anche respinto il ricorso della Procura secondo la quale all’uomo doveva essere contestata l’associazione con finalità di terrorismo proprio perché il ricorrente non era in realtà membro della struttura organizzata in quanto mancava un legame operativo tra il singolo e un’organizzazione terroristica come l’Isis.
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