 L’articolo 13 del regio decreto n. 636 del 1939, che limita l’attribuzione della pensione di reversibilità al coniuge, non consentendo al partner superstite di una coppia dello stesso sesso di ottenerla malgrado il matrimonio all’estero, appare in contrasto con gli articoli 2, 36 e 38 della Costituzione. Così, la Corte di cassazione, sezioni unite civili, con ordinanza n. 19596 del 16 luglio, ha deciso di chiedere alla Corte costituzionale di pronunciarsi (19596 -ORDINANZA) tenendo conto che si tratta di una norma risalente nel tempo che crea, tra l’altro, una disparità di trattamento tra persone che si trovano nella stessa situazione poiché con l’adozione della legge 20 maggio 2016 n. 76 è stata riconosciuta la pensione di reversibilità anche a favore del superstite dell’unione civile.
L’articolo 13 del regio decreto n. 636 del 1939, che limita l’attribuzione della pensione di reversibilità al coniuge, non consentendo al partner superstite di una coppia dello stesso sesso di ottenerla malgrado il matrimonio all’estero, appare in contrasto con gli articoli 2, 36 e 38 della Costituzione. Così, la Corte di cassazione, sezioni unite civili, con ordinanza n. 19596 del 16 luglio, ha deciso di chiedere alla Corte costituzionale di pronunciarsi (19596 -ORDINANZA) tenendo conto che si tratta di una norma risalente nel tempo che crea, tra l’altro, una disparità di trattamento tra persone che si trovano nella stessa situazione poiché con l’adozione della legge 20 maggio 2016 n. 76 è stata riconosciuta la pensione di reversibilità anche a favore del superstite dell’unione civile.
La vicenda al centro del procedimento in Cassazione riguarda una coppia dello stesso sesso che aveva contratto matrimonio a New York nel 2013 e aveva avuto un figlio nato da fecondazione assistita. Il matrimonio era stato trascritto in Italia come unione civile nel 2016, dopo la morte del padre putativo, così come era stata registrata in Italia la nascita del figlio, con l’attribuzione della paternità a un solo partner. Il genitore superstite aveva presentato all’INPS l’istanza per la concessione della pensione; il tribunale aveva respinto tale richiesta accolta invece dalla Corte di appello di Milano grazie a un’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata della normativa nazionale. L’INPS ha impugnato la pronuncia e la vicenda è arrivata in Cassazione.
Le sezioni unite civili hanno ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli articoli 2, 36 e 38 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 del r.d.l. n. 636 del 1939 in base al quale “Nel caso di morte del pensionato o dell’assicurato, semprechè per quest’ultimo sussistano, al momento della morte, le condizioni di assicurazione e di contribuzione di cui all’articolo 9, n. 2, lettere a) e b), spetta una pensione al coniuge e ai figli superstiti che, al momento della morte del pensionato o dell’assicurato, non abbiano superato l’età di 18 anni e ai figli di qualunque età riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di questi”. Per la Suprema Corte, infatti, la norma, nel limitare il diritto al coniuge, non consente l’attribuzione della pensione di reversibilità in favore del partner superstite, in caso di decesso, verificatosi prima dell’entrata in vigore della legge n. 76 del 2016, dell’altro componente della coppia omosessuale, nonostante l’avvenuta formalizzazione del vincolo all’estero. Una situazione – scrive la Cassazione – che presenta profili di discriminazione. La Suprema Corte, così, richiamando anche la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e della Corte europea dei diritti dell’uomo (partendo dall’articolo 8 della Convenzione che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare) ha sospeso il procedimento e si è rivolta alla Corte costituzionale.
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