Domanda di risarcimento dei danni climatici cagionati all’estero: sì alla giurisdizione italiana

Sul rispetto degli obblighi internazionali in materia di cambiamenti climatici e sulle responsabilità per danni arriva anche la Corte di Cassazione che, con ordinanza n. 20381 depositata il 21 luglio (20381), ha affermato la giurisdizione italiana nella controversia tra alcune associazioni ambientaliste e l’ENI e altri, cogliendo l’occasione per ricostruire gli obblighi di aziende e Stati in materia di cambiamenti climatici. A rivolgersi ai giudici italiani sono stati l’organizzazione non governativa Greenpeace, ReCommon e 12 cittadini che hanno citato in giudizio l’ENI, per il mancato rispetto degli obblighi fissati dall’Accordo di Parigi sul clima, nonché il Ministero dell’economia e delle finanze e la Cassa depositi e prestiti per non aver vigilato. 

I ricorrenti hanno individuato la propria legittimazione ad agire negli articoli 2043, 2050 e 2051 del codice civile nonché negli articoli 300 e 313 del decreto legislativo 3 agosto 2016 n. 152 e hanno sostenuto che l’ENI era responsabile delle emissioni e, quindi, del risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali osservando che le fonti internazionali in materia di cambiamento climatico sono immediatamente applicabili. Inoltre, a loro avviso, vi sarebbe una corresponsabilità del Ministero e della Cassa DDPP in quanto azionisti di controllo dell’ENI, ricavando un utile dell’attività della società. L’ENI ha eccepito, tra gli altri motivi, la non giustiziabilità della pretesa, ha invocato il diritto a determinare liberamente la propria politica aziendale in base all’articolo 41 della Costituzione e il difetto di giurisdizione.

Le Sezioni Unite, nell’ordinanza, hanno richiamato anche i casi di cui in passato si è occupato il Tribunale di Roma dichiarando il difetto assoluto di giurisdizione nonché le pronunce rese dai tribunali di altri Stati evidenziando le differenze rispetto al caso in esame che – precisa la Cassazione – “si configura come una comune azione risarcitoria, fondata sull’allegazione di un danno, consistente nella lesione del diritto alla vita e al rispetto della vita privata e familiare” in forza del richiamo degli articoli 2 e 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e degli obblighi previsti dalle fonti internazionali.

Per quanto riguarda il difetto di giurisdizione del giudice italiano che è al centro dell’ordinanza del 21 luglio, la Corte osserva che il fatto dannoso si è verificato almeno in parte al di fuori del territorio nazionale, seppure imputato a un soggetto con sede in Italia. Vanno applicati così, scrive la Suprema Corte, gli articoli 4, par. 1 e 7, n. 2 del regolamento n. 1215/2012 sulla competenza giurisdizionale, l’esecuzione e il riconoscimento delle decisioni in materia civile e commerciale (Bruxelles I bis), da interpretare alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea. Nel caso di specie, il luogo in cui si è verificato l’evento generatore del danno è quello in cui si producono le emissioni climalteranti, “mentre il luogo in cui si concretizza il danno fatto valere dagli attori va identificato in quello in cui gli stessi risiedono”. Pertanto, con riguardo a quest’ultimo criterio, va riconosciuta la giurisdizione del giudice italiano, mentre se fosse applicato il primo criterio si dovrebbe individuare una pluralità di giudici competenti “identificabili in quelli di ciascuno dei Paesi (ivi compresa l’Italia) in cui si producono le emissioni di CO2”. Affermata così la giurisdizione italiana con remissione delle parti al Tribunale di Roma.

Nessun commento

Aggiungi un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *