Una successione a causa di morte apertasi nel 1994 e che sia stata accettata dall’unico erede testamentario “prima del settembre 1995”, ma rispetto alla quale – dopo l’entrata in vigore della l. n. 218/1995 – sia stata proposta, da parte del legittimario pretermesso ed entro il termine di prescrizione, domanda di riduzione delle disposizioni testamentarie lesive, non rientra tra le “situazioni esaurite” di cui all’art. 72 della legge n. 218, con la conseguenza che essa non è regolata, in parte qua, dagli articoli 23 e 30 delle abrogate disposizioni preliminari al codice civile. Pertanto, devono essere applicati gli articoli 13 e 46 della l. n. 218/1995.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, seconda sezione civile, con la sentenza n. 1632, del 23 gennaio 2025 (Cassazione 1632), riguardante l’eredità di una cittadina australiana che, al momento della morte, aveva in Italia tanto il domicilio che l’intero patrimonio immobiliare. La Corte di appello di Firenze aveva respinto le domande di nullità del testamento redatto dalla donna presentate da uno dei figli, rilevando che non vi fosse un’incapacità della testatrice. Pertanto, i giudici, considerando che la donna era cittadina australiana al momento della morte, ritenendo che venissero in rilievo le preleggi, avevano applicato la legge di quel Paese e confermato la validità del testamento che indicava il compagno come unico erede. La vicenda è poi arrivata in Cassazione che ha ribaltato il verdetto disponendo l’applicazione della legge n. 218/1995.
La Suprema Corte ha anche stabilito, in linea con quanto già deciso dalla Cassazione, sezioni unite, con la sentenza n. 2867/2021 e respingendo quanto sostenuto dal C.T.U. nominato nella fase di merito, che, in un caso del genere, la legge applicabile alla successione è la legge italiana, a cui fa rinvio indietro (ex art. 13, comma 1, lett. b, l. n. 21/1995) la legge nazionale della defunta al momento della morte (richiamata in prima battuta dall’art. 46, comma 1, medesima legge), senza che debba tenersi conto dell’atteggiamento dell’ordinamento straniero a proposito del rinvio. Con tale conclusione la Suprema Corte conferma che il meccanismo del rinvio predisposto dall’art. 13 deve ascriversi al modello del “rinvio semplice” e non a quello del “rinvio integrale”.
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