Disastro ambientale e protezione umanitaria: sì dalla Cassazione

La Corte di Cassazione, seconda sezione civile, con l’ordinanza n. 5022, depositata il 24 febbraio (5022), ha stabilito che il giudice di merito, nella valutazione per la concessione della protezione umanitaria sul presupposto del “nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale”, deve tenere conto non solo dell’esistenza di una situazione di conflitto armato, “ma anche di qualsiasi contesto che sia, in concreto, idoneo ad esporre i diritti fondamentali alla vita, alla libertà e all’autodeterminazione dell’individuo al rischio di azzeramento o riduzione al di sotto della predetta soglia minima, ivi inclusi i casi del disastro ambientale, definito dall’art. 452-quater c.p., del cambiamento climatico e dell’insostenibile sfruttamento delle risorse climatiche”. A rivolgersi alla Cassazione è stato un richiedente protezione umanitaria, il quale sosteneva che la sua istanza era stata respinta perché, prima la Commissione territoriale e poi il Tribunale non avevano valutato “la situazione di disastro ambientale esistente nel delta del Niger”, in violazione dell’articolo 5 del Decreto legislativo n. 286/1998.

Per la Suprema Corte vanno considerate le conclusioni del Comitato delle Nazioni Unite nel caso Teitiota (http://www.marinacastellaneta.it/blog/asilo-e-cambiamenti-climatici-si-pronuncia-il-comitato-onu-landmark-case-on-climate-change-and-asylum-claims.html), con la quale l’organo nell’Onu, pur respingendo l’istanza, ha rilevato che “gli Stati hanno l’obbligo di assicurare e garantire il diritto alla vita delle persone”, anche con riguardo alle “minacce ragionevolmente prevedibili” che portano a un sostanziale peggioramento delle condizioni di vita, incluso il degrado ambientale, i cambiamenti climatici e lo sviluppo sostenibile. Nel caso che ha portato all’ordinanza del 24 febbraio 2021, la Cassazione precisa che i conflitti armati sono sicuramente “la più eclatante manifestazione dell’azione autodistruttiva dell’uomo, ma non esauriscono l’ambito dei comportamenti idonei a compromettere le condizioni di vita dignitosa dell’individuo”. Pertanto, il degrado ambientale, che conduce a un livello della qualità della vita al di sotto del livello essenziale in grado di assicurare condizioni di vita dignitose, non permette di realizzare il diritto fondamentale alla vita dell’individuo. Pertanto, in questi casi, il giudice di merito deve verificare la situazione di degrado “sociale, ambientale o climatico, ovvero a contesti di insostenibile sfruttamento delle risorse naturali, che comportino un grave rischio per la sopravvivenza del singolo individuo”. Così, poiché tale verifica è mancata e non è stato accertato il rischio di compromissione “della soglia minima ineludibile dei diritti fondamentali dell’individuo specificamente legato alla ravvisata sussistenza del contesto di disastro ambientale”, la Cassazione ha accolto il ricorso.

 

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