Identità di genere: il riconoscimento giuridico sempre più diffuso in Europa, ma necessari nuovi interventi

Seppure con ritardo, gli ordinamenti giuridici nazionali cercano di mettersi al passo con i mutamenti della società, anche grazie alle numerose sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo. Di qui diversi interventi per assicurare il riconoscimento giuridico dell’identità di genere che, però, sono ancora lenti e in grado di incidere negativamente sui familiari delle persone interessate. Il Consiglio d’Europa ha pubblicato il primo rapporto tematico sull’attuazione delle misure volte a combattere la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere, inserite nella raccomandazione CM/Rec(2010/5). Il rapporto, diffuso il 7 luglio (Gender Recognition), prende atto del maggiore sostegno presente in diversi ordinamenti, con 38 Stati membri del Consiglio d’Europa che hanno adottato procedure giuridiche o amministrative ai fini del riconoscimento e 9 Paesi che hanno un sistema di autodeterminazione. Ma alcuni Stati hanno fatto passi indietro addirittura annullando sistemi di riconoscimento previsti in precedenza. Questo vuol dire – precisa il gruppo di lavoro del Comitato direttivo del Consiglio d’Europa sull’anti-discriminazione, la diversità e l’inclusione (CDADI) – che i documenti ufficiali non corrispondono all’identità di genere. Nella parte finale del rapporto sono state incluse alcune raccomandazioni, con la richiesta di affiancare agli interventi legislativi, politiche, anche educative, volte all’inclusione e all’eliminazione di ogni forma di discriminazione. Con una precisa indicazione agli Stati: i motivi legati all’identità di genere o alle caratteristiche sessuali della vittima devono essere considerate come circostanze aggravanti.

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