Gli Stati devono assicurare l’effettiva realizzazione del diritto alla tutela giurisdizionale che deve prevalere, almeno in via generale, sulle esigenze di segretezza legate alla sicurezza nazionale invocate dalle autorità nazionali di uno Stato membro per vietare il soggiorno di cittadini Ue. In questa direzione si è espressa la Corte di giustizia dell’Unione europea con sentenza del 4 giugno 2013 (C-300/11, ZZ, C-300:11) con la quale la Corte ha affermato che agli individui interessati devono essere fornite adeguate motivazioni sui provvedimenti che negano il soggiorno in uno Stato membro e che, solo in casi eccezionali, gli elementi di prova alla base della motivazione possono essere secretati per ragioni di sicurezza nazionale. Nel caso in esame, un pluricittadino, francese e algerino, sposato con una britannica, dopo aver soggiornato in Inghilterra per diversi anni, aveva lasciato il Paese. Al rientro, le autorità amministrative inglesi avevano vietato l’ingresso e la Commissione speciale per i ricorsi in materia di immigrazione, che aveva respinto il suo ricorso, aveva reso una decisione pubblica con una motivazione sommaria, secretando gran parte dei motivi alla base della scelta. L’interessato, quindi, non era stato in grado di conoscere le motivazioni del provvedimento di divieto di soggiorno salvo un generale rinvio alla sua appartenenza al Gruppo islamico armato (GIA). Di qui la decisione di rivolgersi alla Corte di appello che prima di decidere ha chiesto aiuto alla Corte di giustizia secondo la quale la direttiva 2004/38 del 29 aprile 2004 la quale disciplina il diritto dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, recepita in Italia con il Dlgs 6 febbraio 2007 n. 30, modificato dal Dlgs 32/2008 (che ha abrogato il Testo unico sulle disposizioni in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri, contenuto nel Dpr 52/2002), poi modificato dal Dlgs 28 febbraio 2008 n. 32, impone come regola generale la libertà di circolazione ammettendo alcune limitazioni per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (articolo 27). Inoltre, secondo l’articolo 30, paragrafo 2, “i motivi circostanziati e completi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica” devono essere comunicati all’interessato “salvo che vi ostino motivi attinenti la sicurezza dello Stato”. Questo vuol dire che la mancata comunicazione dei motivi ha carattere eccezionale e può essere ammessa solo in presenza di specifiche motivazioni relative al caso di specie, con un preciso divieto di un ampliamento della portata. Per assicurare un’adeguata tutela ai destinatari del provvedimento, la direttiva riconosce il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva e, di conseguenza, la possibilità per l’interessato di accedere ai mezzi di impugnazione giurisdizionale o amministrativi nello Stato membro ospitante (articolo 31). A ciò si aggiunga che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, all’articolo 47, afferma il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva, con la conseguenza che anche sul piano interno nell’applicazione di atti dell’Unione europea le norme vanno attuate alla luce della Carta di Nizza. Pertanto, gli Stati devono indicare all’interessato i motivi alla base di una decisione con la quale è negato l’ingresso o il soggiorno di un cittadino dell’Unione in un altro Stato membro. Un limite in questo senso è ammesso solo se il giudice nazionale ha la possibilità di applicare “tecniche e norme di diritto processuale che consentano di conciliare le legittime preoccupazioni di sicurezza dello Stato…con la necessità di garantire adeguatamente al soggetto il rispetto dei suoi diritti processuali, quali il diritto di esporre la propria difesa e il principio del contraddittorio”.
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