La Corte suprema si pronuncia sulla Convenzione dell’Aja sulla sottrazione internazionale di minori – The UK Supreme Court on the Hague Convention and the Inherent Jurisdiction

La Corte suprema inglese, con la sentenza depositata il 30 ottobre nel caso NY (A Child) [2019] UKSC 49, ha dato ragione, in sostanza, a un padre che aveva presentato alla Corte di appello un’istanza per l’adozione di un provvedimento in cui si ordinava il rientro della propria figlia dal Regno Unito a Israele (supreme court). La bambina di tre anni era nata dal matrimonio tra due israeliani che avevano deciso, dopo il matrimonio in Israele, di spostarsi a Londra. Il matrimonio, però, era finito e mentre il marito era rientrato in Israele, la moglie aveva deciso di rimanere a Londra con la bambina. Di qui la richiesta del padre che era stata accolta dall’High Court. La Corte di appello, però, aveva sostenuto che il provvedimento di ritorno non potesse essere adottato sulla base della Convenzione dell’Aja sulla sottrazione internazionale dei minori del 25 ottobre 1980 (atto, come è noto, ratificato dall’Italia con legge 15 gennaio 1994 n. 64), perché non vi erano prove della sottrazione della minore da parte della madre. Tuttavia, la Corte di appello aveva ritenuto che il provvedimento potesse essere emesso in forza del criterio della inherent jurisdiction in quanto la minore era residente abitualmente in Inghilterra e, così, aveva adottato un provvedimento di immediato rientro in Israele. Di qui il ricorso della madre della bambina alla Corte suprema inglese che il 14 agosto aveva ritenuto di potersi pronunciare, sospendendo l’ordinanza della Corte di appello. La sentenza definitiva è stata pronunciata il 30 ottobre e la Corte suprema ha dato, in sostanza, ragione al padre ritenendo corretto il provvedimento della Corte di appello circa l’esistenza della giurisdizione inglese in base al criterio della inherent jurisdiction che poteva essere utilizzato  per adottare un provvedimento di ritorno del minore malgrado la possibilità di emettere altri specifici provvedimenti, situazione che, ad avviso della madre, in forza del Children Act del 1989, avrebbe determinato l’impossibilità di utilizzare la inherent jurisdiction. Per la Corte suprema, inoltre, è vero che il padre non aveva invocato la inherent jursdiction, ma nel segno dell’interesse superiore del minore, era compito dei giudici di appello svolgere un accertamento d’ufficio e adottare un provvedimento urgente basato su tale titolo. Pertanto, la Corte suprema ha confermato il verdetto dei giudici di appello affermando, però, che la Corte avrebbe dovuto considerare otto questioni, approfondendo l’esistenza della residenza abituale della minore a Londra.

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