La Corte Ue su giudicato interno e diritto Ue

La Corte di giustizia dell’Unione europea torna sul rapporto tra giudicato interno e contrasto con il diritto Ue. Con la sentenza depositata il 4 marzo, nella causa “italiana” C- 34/19, la Corte Ue ha chiarito che il giudice nazionale non è tenuto a disapplicare le norme processuali interne che assicurano l’autorità di cosa giudicata anche se questo potrebbe portare a rimuovere una violazione del diritto Ue (C-34:19). Il valore del giudicato – osservano gli eurogiudici – ha un’importanza fondamentale nell’ordinamento giuridico dell’Unione e in quelli nazionali e va così salvaguardato anche se gli interessati possono agire contro lo Stato per i danni provocati da violazioni del diritto dell’Unione. La vicenda nazionale che ha dato il via al rinvio pregiudiziale alla Corte Ue è lunga e complessa e ha al centro l’obbligo imposto a Telecom Spa dal Ministero dell’economia circa il pagamento di un elevato conguaglio del canone di concessione per il 1998. Secondo l’azienda i criteri di calcolo dell’importo erano contrari al diritto Ue, ma il Consiglio di Stato aveva confermato l’obbligo del versamento del canone, malgrado una sentenza della Corte Ue che andava in senso diverso. La violazione manifesta del diritto dell’Unione era stata anche accertata dalla Corte di appello a seguito dell’azione di Telecom che aveva citato in giudizio per danni lo Stato italiano. La vicenda è tornata di nuovo dinanzi ai giudici amministrativi che hanno chiesto l’intervento di Lussemburgo per l’interpretazione dell’articolo 22 della direttiva 97/13 in materia di autorizzazioni generali e di licenze individuali nel settore dei servizi di telecomunicazione. Dopo aver chiarito che la direttiva 97/13 non permette a uno Stato membro di richiedere a un operatore, che sia stato titolare di un diritto esclusivo sui servizi di telecomunicazioni pubbliche, poi titolare di un’autorizzazione generale, il pagamento di un onere pecuniario calcolato sul fatturato e non sui costi amministrativi, la Corte Ue è passata ad analizzare il rapporto tra sentenze passate in giudicato, malgrado la violazione del diritto dell’Unione, e norme Ue. Per la Corte, se l’autorità di cosa giudicata relativa alla sentenza del Consiglio di Stato del 2009 si estende al procedimento in corso dinanzi al Tar e determina la soluzione del procedimento (accertamento che spetta al tribunale amministrativo), il giudice nazionale non è tenuto a disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono “autorità di cosa giudicata a una decisione” e questo anche se ciò permetterebbe di rimediare a una violazione del diritto dell’Unione. Nel caso in cui, invece, il Tar ritenga che la pronuncia del Consiglio di Stato del 2009 non sia determinante per la soluzione della controversia, dovrà procedere all’interpretazione conforme e, quindi, se necessario, modificare anche la giurisprudenza consolidata che si è formata nell’ordinamento interno se incompatibile con il diritto dell’Unione.

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