La Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza pronunciata nella causa C-46/12 depositata oggi (L.N), ha chiarito entro quali limiti uno Stato membro può invocare l’eccezione stabilita dall’articolo 24 della direttiva 2004/38 sul diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente, in base al quale un Paese Ue non è tenuto a concedere aiuti di mantenimento agli studi a persone di altri Stati membri che non siano lavoratori subordinati o autonomi. La vicenda approdata a Lussemburgo su rinvio pregiudiziale dei giudici danesi ha preso il via dalla richiesta di un cittadino dell’Unione (di cui non è stata specificata la nazionalità) che era entrato in Danimarca per un lavoro e si era poi dimesso per seguire un corso di formazione, lavorando al tempo stesso a tempo parziale. Aveva inoltrato un’istanza per un aiuto economico per seguire il corso che non gli era stato concesso. Questo perché le autorità amministrative danesi ritenevano che l’uomo aveva fatto ingresso in Danimarca proprio con l’intento di seguire il corso e aveva in sostanza cercato di aggirare la normativa prima lavorando e poi dimettendosi. In pratica, poiché l’articolo 7 della direttiva 2004/38 dispone che un lavoratore cittadino di uno Stato membro debba ricevere un trattamento identico a quello dei lavoratori nazionali ma prevede che lo Stato ospitante possa scegliere di non attribuire borse di studio o prestiti a coloro che non siano lavoratori subordinati o autonomi (articolo 24), le autorità nazionali erano autorizzate a non concedere l’aiuto perché l’intenzione del cittadino non era quella di lavorare ma di studiare. Una conclusione non condivisa dai giudici Ue. Poco importa l’intenzione di un cittadino ai fini della qualifica di lavoratore. Ciò che conta è che siano presenti le condizioni individuate in diverse occasioni dalla stessa Corte per consentire di qualificare una prestazione come attività lavorativa. Nel caso di specie, gli elementi oggettivi idonei alla qualificazione erano presenti: rispetto di un orario di lavoro, svolgimento di attività reali ed effettive, subordinazione, retribuzione. La nozione di lavoratore in base alla citata direttiva è, d’altra parte, una nozione comunitaria e non è demandata agli ordinamenti nazionali. Di qui l’obbligo per il giudice nazionale di effettuare una valutazione del caso secondo le indicazioni della Corte senza considerare l’intenzione del cittadino Ue che, quindi, poteva anche essere entrato sul territorio con l’obiettivo di seguire un corso e non per trovare un lavoro senza che l’elemento psicologico possa incidere sul suo status.
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