No alla brevettabilità relativa all’utilizzo di embrioni umani

E’ nullo il brevetto che riguarda cellule ottenute da quelle staminali embrionali umane. Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Unione europea con sentenza depositata il 18 ottobre (causa C-34/10, http://curia.europa.eu/jurisp/cgi-bin/form.pl?lang=it&jurcdj=jurcdj&newform=newform&docj=docj&docop=docop&docnoj=docnoj&typeord=ALLTYP&numaff=&ddatefs=12&mdatefs=10&ydatefs=2011&ddatefe=19&mdatefe=10&ydatefe=2011&nomusuel=&domaine=&mots=&resmax=100&Submit=Rechercher), con la quale i giudici Ue hanno precisato, interpretando l’articolo 6 della direttiva 98/44 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, che l’esclusione della brevettibilità relativa all’impiego di embrioni umani per motivi commerciali o industriali comprende anche l’utilizzazione per fini di ricerca scientifica, essendo consentita unicamente per motivi terapeutici e diagnostici applicabili allo stesso embrione umano. A chiamare in causa la Corte di Lussemburgo erano stati i giudici tedeschi alle prese con una controversia tra Greenpeace e il titolare di un brevetto relativo a cellule progenitrici neurali, ricavate da cellule staminali embrionali umane utili per la cura di malattie neurologiche. L’organizzazione ambientale aveva chiesto al Tribunale federale dei brevetti tedesco di dichiarare la nullità del brevetto. La vicenda è poi arrivata in Cassazione che, prima di decidere, ha presentato un rinvio pregiudiziale d’interpretazione della direttiva 98/44 alla Corte Ue.

Prima di tutto, i giudici comunitari hanno precisato che la direttiva vieta l’utilizzo di embrioni umani a fini industriali o commerciali, senza però definire la nozione di embrione che, osserva la Corte, non può essere demandata agli ordinamenti nazionali ma ha carattere autonomo, propria del diritto Ue, al fine di consentire un’interpretazione uniforme sul territorio comunitario. Tenendo conto che la direttiva vuole escludere ogni violazione della dignità umana, la nozione di embrione deve essere intesa in senso ampio, con la conseguenza che deve ottenere tale qualificazione anche l’ovulo umano non fecondato “in cui sia stato impiantato il nucleo di una cellula umana matura e l’ovulo umano non fecondato indotto a dividersi e a svilupparsi attraverso partogenesi”, anche se i suddetti organismi non sono stati oggetto “in senso proprio, di una fecondazione”. Detto questo, la Corte ha osservato che l’utilizzo di embrioni umani ai fini di ricerca che è oggetto di una domanda di brevetto è vietato proprio perché l’utilizzo per motivi di ricerca scientifica non può essere distinto dallo sfruttamento industriale e commerciale. “Solo l’utilizzazione per finalità terapeutiche o diagnostiche – precisa la Corte – che si applichi all’embrione umano e sia utile a quest’ultimo può essere oggetto di un brevetto”.

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