Numero chiuso all’università compatibile con la CEDU

 

Il numero chiuso imposto dalle autorità nazionali per alcuni corsi universitari è compatibile con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Nessuna violazione del diritto all’istruzione nei confronti di coloro che non riescono ad accedere al percorso di studi prescelto. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo, con sentenza del 2 aprile 2013 resa nei confronti dell’Italia (Tarantino e altri, ricorsi n. 25851/09, n. 29284/09 e n. 64090/09, CASE OF TARANTINO AND OTHERS v. ITALY) con la quale Strasburgo dà il via libera alle legislazioni interne che limitano l’accesso ad alcuni corsi imponendo il numero chiuso e stabilisce che questa scelta è del tutto conforme alla Convenzione europea, togliendo così l’ultima speranza ai non ammessi che avevano provato l’ultima carta con Strasburgo. Per la Corte l’articolo  2 del Protocollo n. 1 alla Convenzione europea il quale afferma che il diritto all’istruzione non può essere rifiutato a nessuno, con l’obbligo per le autorità nazionali di fare in modo che l’educazione e l’insegnamento siano resi nel rispetto delle convinzioni religiose e filosofiche dei genitori, pur applicandosi anche all’istruzione universitaria, non è un diritto assoluto e, quindi, esso può subire limitazioni grazie al margine di apprezzamento concesso agli Stati. Tali restrizioni – osserva la Corte – devono essere fissate in un testo legislativo al fine di essere prevedibili, non devono arrecare un pregiudizio all’essenza del diritto o privarlo di effettività e devono perseguire un obiettivo legittimo che, però, non è specificato nella norma, con un inevitabile ampliamento della discrezionalità degli Stati. Le limitazioni poste nel sistema italiano sono incluse in testi legislativi (leggi n. 127/1997 e n. 264/1999), perseguono un fine legittimo cercando di  assicurare un alto livello di professionalità e garantire un grado adeguato nell’istruzione universitaria nell’interesse di tutti. Di qui la compatibilità con la Convenzione. A ciò si aggiunga che, secondo la Corte, il sovraffollamento delle aule può avere un effetto negativo sulla qualità dell’insegnamento soprattutto in settori dove è necessaria un’esperienza pratica ed è “ragionevole che lo Stato aspiri all’assorbimento nel mercato del lavoro di ogni candidato che ultimi con successo gli studi”. La Corte, poi, ritiene che nel caso di specie la violazione del diritto all’educazione non si realizzi anche perché ai ricorrenti non è certo impedito di iscriversi ad altri corsi o di recarsi all’estero per seguire le proprie aspirazioni, valutazioni, queste ultime che non ci sembrano molto fondate. Più pertinente, invece, appare il richiamo al fatto che la legislazione italiana non pone limiti circa il numero di volte in cui l’aspirante a un percorso di studi a numero chiuso può tentare le prove e quindi accedervi.

 

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