La cancellazione del prefisso “von” nel cognome è una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare (articolo 8 CEDU). E’ quanto ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza Künsberg Sarre contro Austria (ricorsi n. 19475/20, 20149/20, 20153/20 e 20157/20, CASE OF KÜNSBERG SARRE v. AUSTRIA) con la quale Strasburgo torna sugli interventi legislativi nazionali che impongono cambiamenti nel cognome. A rivolgersi alla Corte sono stati quattro cittadini austriaci, componenti della stessa famiglia, i quali contestavano gli interventi delle autorità nazionali che avevano imposto l’abolizione del prefisso “von” come conseguenza dell’abrogazione della legge sulla nobiltà del 1919 e delle norme applicative del 2017. In base a queste regole le autorità comunali competenti si erano rifiutate di emettere nuove carte d’identità con il cognome con “von”. Di qui, dopo che le loro azioni erano state respinte dai giudici amministrativi, il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Strasburgo ha analizzato la giurisprudenza nazionale sui tanti ricorsi concernenti la stessa materia e la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, a partire dalla sentenza del 22 dicembre 2010 (causa C-208/09) e da quella del 2 giugno 2016 (C-438/14). Precisato che l’articolo 8 è applicabile ai casi di cambiamenti di cognome perché si tratta di questioni relative alla vita privata e familiare in quanto il cognome è un elemento identifico della persona, la Corte ha sottolineato che, nei ricorsi in esame, si era in presenza di un cognome già attribuito da molti anni e oggetto di una modifica successiva. Questo – scrivono i giudici internazionali – comporta un’evidente ingerenza nel diritto al rispetto della vita privata. La Corte ha dubbi sulla qualità di legge delle regole applicate in ragione dei numerosi cambiamenti apportati nel corso degli anni, che hanno inciso sulla chiarezza del quadro normativo. In ogni caso, Strasburgo ha constatato che l’ingerenza nel diritto dei ricorrenti, pur perseguendo un fine legittimo, non era necessaria in una società democratica soprattutto perché i ricorrenti avevano utilizzato quel cognome con il “von” per 43, 18, 16 e 49 anni e solo a seguito di un cambiamento della prassi amministrativa era stato impedito l’utilizzo, nel rilascio di nuovi documenti, del “von”. Il cambiamento era forse riconducibile all’intervento della Corte di giustizia dell’Unione europea che, però, – precisa Strasburgo – ha considerato la questione solo sotto la lente dell’articolo 21 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, riguardante la libera circolazione delle persone, ma non sotto l’angolo dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Di conseguenza, per Strasburgo, in questo caso la pronuncia della Corte Ue non può venire in rilievo. Dall’esame poi della giurisprudenza interna non emergono le esigenze che potrebbero giustificare un’ingerenza nell’articolo 8 e non si comprende quali siano i diritti che sul piano interno si intendeva salvaguardare impedendo ai ricorrenti l’utilizzo del cognome fino a quel momento impiegato. Inoltre, la Corte sottolinea che a causa delle autorità nazionali austriache componenti di una stessa famiglia si trovavano ad avere cognomi diversi. Di qui la violazione dell’articolo 8 della Convenzione.
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