Protezione delle vittime senza confini nello spazio Ue con il Dlgs di attuazione della direttiva 2011/99

Via libera all’attuazione, dal 10 marzo 2015, della direttiva 2011/99/UE sull’ordine di protezione europeo. E’ stato pubblicato, infatti, sulla Gazzetta ufficiale il decreto legislativo n. 5 dell’11 febbraio 2015 di recepimento dell’atto Ue (ordine di protezione; qui la relazione illustrativa relazione), la cui delega al Governo era stata già prevista nella legge di delegazione europea 2013.

Con l’adozione del decreto legislativo, andrà a regime un nuovo strumento proprio della cooperazione giudiziaria penale, funzionale a rafforzare la protezione delle vittime nello spazio europeo. Grazie al mutuo riconoscimento, principio cardine del settore penale, le misure protettive circoleranno oltre frontiera. Con maggiori tutele per le vittime di reati che potranno spostarsi senza timore del venir meno della protezione. Questo il meccanismo. L’autorità giurisdizionale nazionale, individuata nel testo di recepimento nel giudice competente a disporre le misure cautelari (art. 282 bis c.p.p.), adotterà l’ordine di protezione europeo utilizzando, nel segno della semplificazione, il modello incluso nell’allegato A, comune a tutti gli Stati membri. L’autorità centrale è il Ministero della giustizia, competente per la ricezione e la trasmissione degli atti. Per quanto riguarda il procedimento, l’autorità giudiziaria procede “senza ritardo” alla trasmissione dell’ordinanza al Ministero della giustizia affinché provveda, con qualsiasi strumento idoneo a provare l’autenticità del documento, a consegnarlo all’autorità competente dello Stato di esecuzione. L’Autorità centrale è tenuta a comunicare l’eventuale rifiuto del riconoscimento. Inserite alcune modifiche al codice di procedura penale soprattutto con riferimento agli obblighi di informazione verso la persona offesa che dovrà sapere della possibilità di richiedere l’emissione dell’ordine di protezione europeo e dovrà essere informata “senza indugio” del rifiuto al riconoscimento opposto dalle autorità dello Stato di esecuzione. Nel caso in cui l’autorità giudiziaria si opponga all’emissione dell’ordine di protezione, il richiedente può presentare ricorso in Cassazione. Per quanto riguarda la disciplina prevista nel caso in cui l’Italia sia Stato di esecuzione, il testo attribuisce la competenza alla Corte di appello del luogo in cui la persona protetta ha dichiarato di soggiornare o risiedere (in linea con la disciplina della legge n. 69/2005 sul mandato di arresto europeo). Il sistema, però, si differenzia dal mandato di arresto proprio tenendo conto dell’urgenza nelle misure di protezione delle vittime. Di qui la scelta di pronunciarsi senza formalità e senza contraddittorio. La Corte di appello, su richiesta del Procuratore generale, può anche decidere una misura più afflittiva, che avrà una durata non superiore ai 30 giorni, se il destinatario del provvedimento non adempie agli obblighi fissati nell’ordine di protezione. Il rifiuto all’esecuzione sarà possibile solo nei casi in cui si verifichi una delle circostanze specificate dall’articolo 10 e, tra l’altro, nei casi in cui la misura si riferisca a un atto che non costituisce reato secondo la legislazione dello Stato di esecuzione, nel rispetto del principio della doppia incriminazione sancito dalla stessa direttiva. Per il ricorso in Cassazione, l’atto rinvia all’articolo 22 della legge n. 69/2005 sul recepimento del mandato di arresto europeo.

 

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