Sul caso Hirsi l’Italia arranca nell’esecuzione della sentenza della CEDU

Forte determinazione libica a sostenere il Governo italiano e poco altro. L’Italia, con una comunicazione del 31 maggio (hirsi), ha inviato al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa un’informazione sullo stato di attuazione della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 23 febbraio (ricorso n. 27765/09, Hirsi Jamaa e altri contro Italia) con la quale Strasburgo ha accertato la violazione dell’articolo 3 della Convenzione dei diritti dell’uomo che vieta la tortura e i trattamenti disumani e degradanti e dell’articolo 4 del Protocollo n. 4 che mette al bando le espulsioni collettive. L’Italia aveva impedito l’ingresso di alcuni cittadini stranieri (11 somali e 13 eritrei) che avevano lasciato la Libia nel 2009 a bordo di tre barconi diretti verso l’Italia. Fermati in alto mare dalla Guardia di Finanza e trasferiti su una nave militare erano stati ricondotti in Libia, in applicazione dell’accordo bilaterale concluso con Tripoli nel 2008, in vigore dal 4 febbraio 2009, malgrado i rischi di trattamenti disumani e degradanti.

Ora, per assicurare l’esecuzione della sentenza, l’Italia ha chiesto informazioni alla Libia per verificare se i ricorrenti si trovino ancora nel centro di accoglienza di Tripoli. In realtà, il direttore aggiunto del Dipartimento delle relazioni internazionali del ministero dell’interno libico,  Samir Youssef, ha ammesso di non essere in grado di fornire adeguate informazioni anche a causa del conflitto che è però ormai cessato da tempo.

Qui un commento sulla sentenza della CEDU (n. 12 respingimenti).

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