Tariffe minime inderogabili contrarie al diritto Ue se decise da un organismo senza l’intervento dello Stato

Il divieto di derogare alle tariffe minime stabilite da un’organizzazione di categoria forense, sulla quale non vi è un controllo dell’autorità pubblica, è contrario alle norme Ue sulla libera concorrenza. E’ la Corte di giustizia dell’Unione europea a stabilirlo con la sentenza depositata il 23 novembre 2017 nelle cause riunite C-427/16 e C-428/16 (C-427:16). A rivolgersi a Lussemburgo è stato il Tribunale circondariale di Sofia (Bulgaria) alle prese con una controversia tra due società e alcuni cittadini che non avevano versato gli importi dovuti per la rifusione degli onorari di avvocato e per la retribuzione di un consulente giuridico. I giudici nazionali non avevano provveduto a emettere un’ingiunzione di pagamento perché l’importo era frutto di una pattuizione tra clienti e società di entità più bassa rispetto a quella prevista dal regolamento nazionale. Lo stesso giudice, però, nutriva dubbi sulla compatibilità di una simile restrizione rispetto al diritto Ue. Pertanto il Tribunale, prima di pronunciarsi, ha chiesto alla Corte di giustizia di chiarire la portata dell’articolo 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Prima di tutto la Corte Ue ha chiarito la differenza rispetto ad altre pronunce rese in passato, sempre con riguardo alle tariffe (in particolare con le sentenze del 5 dicembre 2006 nel caso Cipolla e altri, cause C-94/04 e C-202/04), perché, in quelle vicende, la determinazione delle tariffe era stata effettuata da organismi sotto un controllo dell’autorità statale mentre nella vicenda relativa alla causa C-427/16 il Consiglio dell’ordine forense non aveva agito come “emanazione della pubblica autorità”, ma come organizzazione di categoria dell’ordine forense. Per la Corte, quindi, la determinazione degli importi minimi degli onorari equivaleva “alla determinazione orizzontale di tariffe minime imposte” da un organismo costituito unicamente da avvocati eletti da colleghi e non “emanazione della pubblica autorità che opera a fini di interesse generale”, con inevitabile violazione dell’articolo 101, paragrafo 1 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea che vieta gli accordi tra imprese e le decisioni di associazioni di imprese, nonché dell’articolo 4, paragrafo 3 del Trattato Ue sul principio di leale cooperazione. La Corte, invece, non si è pronunciata sulla giustificazione di una simile restrizione nella determinazione degli onorari sotto il profilo del conseguimento di obiettivi legittimi, lasciando l’accertamento sul punto al giudice nazionale. Gli eurogiudici, poi, hanno chiarito che il sistema nazionale in base al quale l’Iva è parte integrante degli onorari degli avvocati, con la conseguenza che si verifica “un doppio assoggettamento all’Iva degli onorari stessi”, è contrario alla direttiva 2006/112 sul sistema comune d’imposta sul valore aggiunto che, in base al principio di neutralità fiscale, impedisce che “l’assoggettamento ad imposta delle attività professionali di un soggetto passivo generi una doppia imposizione”.

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