Trattamenti inumani nelle carceri italiane: comunicato un nuovo ricorso contro l’Italia

Il Governo italiano deve rispondere alla comunicazione inviata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo sul caso Karima Zemzami, ricorso n. 13015/20, pubblicato il 6 dicembre 2021, che porta nuovamente in primo piano le condizioni di vita dei detenuti nelle carceri italiane (ZEMZAMI v. ITALY). A presentare il ricorso alla Corte di Strasburgo è stata la sorella di un detenuto che si era ucciso in carcere senza che – ad avviso della ricorrente – le autorità italiane avessero adottato misure per proteggere la vita del fratello perché, prima del suicidio, non gli erano stati forniti trattamenti medici tempestivi e adeguati. Di conseguenza, per la ricorrente, sarebbe stato violato l’articolo 3 della Convenzione europea che vieta trattamenti inumani e degradanti e l’articolo 2 sul diritto alla vita, anche a causa dell’assenza di indagini adeguate sulla morte del detenuto. La Corte ha comunicato il caso all’Italia chiedendo chiarimenti sull’eventuale conoscenza dell’esistenza di un rischio reale e immediato per la vita del detenuto, tanto più che, malgrado fosse stato sottoposto a un regime di sorveglianza rafforzata, nessun agente penitenziario lo aveva controllato per circa due ore. Per quanto riguarda l’assenza di indagini adeguate, la Corte vuole chiarimenti sui motivi per i quali il fascicolo è stato aperto contro ignoti e non nei confronti del personale penitenziario o sanitario incaricato della sorveglianza del detenuto, nonché sui motivi che hanno portato a ben tre richieste di archiviazione da parte del pubblico ministero, tutte respinte dal giudice per le indagini preliminari.

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