Un freno alle adozioni internazionali se c’è il rischio di discriminazione razziale

L’interesse del minore prima di tutto. Con quest’obiettivo, la cui applicazione in Italia è garantita dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, ratificata dall’Italia con legge 27 maggio 1991 n. 176, la Corte di cassazione, sezioni unite civili, con sentenza depositata il 1° giugno 2010 (n. 1332, sentenza) ha stabilito che deve essere negata l’adozione internazionale nei casi in cui i futuri genitori esprimano preferenze sull’etnia dei minori. Un principio il cui fondamento, oltre che nella citata Convenzione, ha la sua base in altri atti internazionali inclusa la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (articolo 24). Per la Suprema Corte, un provvedimento di adozione che attribuisse rilevanza a dati razziali e accogliesse le preferenze espresse dagli adottanti, risulterebbe in contrasto con il diritto internazionale e  in particolare con il divieto di discriminazione per motivi razziali. Un principio – ricorda la Cassazione – che ha trovato ampio spazio anche nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che va quindi seguito.

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