41bis: non è tortura

Le misure previste dal 41bis sono compatibili con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Lo dice la Corte di Strasburgo con decisione depositata il 24 settembre 2015 con la quale i giudici internazionali hanno dichiarato irricevibile il ricorso presentato contro l’Italia da un detenuto condannato per associazione di stampo mafioso e sottoposto al regime speciale di detenzione (PAOLELLO c. ITALIE).

Per la Corte, il regime penitenziario differenziato del 41bis non può essere considerato tortura o trattamento disumano o degradante e quindi non è di per sé incompatibile con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e, in particolare, con l’articolo 3 che vieta la tortura. Poco importa – scrive la Corte – l’applicazione prolungata del regime differenziato di detenzione perché va verificato caso per caso se il rinnovo del regime è dovuto alla persistenza delle condizioni. Così come non si configura una violazione dell’articolo 8, che assicura il diritto al rispetto della vita privata e personale, per i controlli sulla corrispondenza e per il sistema di videosorveglianza perché entrambi servono a minimizzare i contatti del detenuto con strutture dell’organizzazione criminale, soprattutto tenendo conto della natura particolare del fenomeno mafioso. Nel momento in cui le misure sono proporzionali e limitate nel tempo, con un continuo controllo delle autorità giurisdizionali, come risulta dalle modifiche introdotte con la legge 8 aprile 2004 n. 95, non si configura alcuna violazione della Convenzione. Di qui l’irricevibilità del ricorso.

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