Il Regno Unito ha svolto inchieste adeguate e approfondite per individuare i responsabili dell’uccisione di un militare e di altri membri della Royal Military Police in Iraq, nel 2003. Di conseguenza, lo Stato non ha commesso una violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. E’ la conclusione della Corte di Strasburgo che, con decisione n. 32001/18, resa pubblica il 25 luglio, nel caso Miller contro Regno Unito (MILLER v. THE UNITED KINGDOM), ha dichiarato inammissibile il ricorso. A rivolgersi alla Corte è stato il padre di un militare inglese ucciso nel corso di una missione in Iraq. Malgrado l’avvio di alcune indagini, nessuno era stato condannato anche se, grazie all’inchiesta, erano stati indagati 7 poliziotti iracheni. Il padre del militare aveva chiesto l’istituzione di una commissione di inchiesta indipendente, ma il Ministero della difesa aveva respinto l’istanza. Dopo altre azioni interne, l’uomo, ritenendo violato l’articolo 2 della Convenzione che assicura il diritto alla vita, aveva fatto ricorso alla Corte europea che, però, gli ha dato torto. Prima di tutto, la Corte europea ha ribadito l’applicazione della Convenzione, in base all’articolo 1, in spazi al di fuori del territorio statale sui quali un Paese contraente esercita la giurisdizione effettiva, pur sottolineando che, nel caso in esame, la situazione appariva più complessa perché l’uccisione del militare era avvenuta in un periodo in cui i militari inglesi erano impegnati in una missione di mantenimento della pace e collaboravano con la polizia locale, offrendo un supporto, per un atto compiuto dalla folla, circostanza che rende la questione della giurisdizione più complessa. Tuttavia, considerando che il ricorso appariva non fondato per altri motivi, la Corte non ha approfondito la questione, sottolineando, però, che gli Stati parti alla Convenzione, anche nei casi di una situazione di violenza generalizzata o di conflitto armato sono tenuti a svolgere indagini effettive e indipendenti. Nel caso in esame, le autorità inglesi avevano sentito più di 157 testimoni, ordinato lo svolgimento dell’autopsia e condotto indagini, con la conseguenza che non si può ritenere che il Regno Unito abbia agito in modo contrario alla Convenzione europea tenendo conto del fatto che le indagini sono state effettive e risalenti a un contesto molto complesso. Così, la Corte ha ritenuto infondato il ricorso.
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