CEDU: la differenza di pena non blocca l’estradizione

La differenza di pena, se non eccessivamente sproporzionata, non blocca l’estradizione e non costituisce un trattamento disumano e degradante. Tuttavia, costringere un detenuto a stare in una cella durante l’udienza, consentendo la circolazione di fotografie che lo ritraggono in quella situazione, è una violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea in quanto trattamento degradante. Lo ha stabilito la Corte europea nella sentenza del 24 luglio 2014 nel caso Čalovskis contro Lettonia (ricorso n. 22205/13, CASE OF CALOVSKIS v. LATVIA), su ricorso presentato a seguito della decisione delle autorità lettone di concedere l’estradizione richiesta dalle autorità americane nei confronti di un cittadino della Lettonia accusato di cybercrime. Ad avviso della Corte, poiché la differenza di pena non è eccessivamente sproporzionata, sotto questo profilo, non vi è alcuna violazione convenzionale. La Corte ha anche precisato che la soluzione sarebbe stata differente nel caso in cui il ricorrente fosse stato accusato di terrorismo. In questo caso, infatti, è stato già accertato il trattamento disumano subito negli Stati Uniti, con consequenziale blocco all’estradizione. Nel caso di specie, tuttavia, la semplice differenza di pena non può costituire la base per impedire l’estradizione. Tanto  più – osserva la Corte – che gli Stati stabiliscono le pene in base al rilievo attribuito a determinati valori nel proprio ordinamento, situazione che comporta differenze da Stato a Stato in ragione della discrezionalità concessa alle autorità nazionali che scelgono i valori e le misure da adottare. Diversa conclusione per la scelta delle autorità lettoni di costringere il ricorrente ad assistere all’udienza sulla decisione in materia di estradizione in una cella collocata in aula. In questo caso, infatti, vi è un trattamento degradante con violazione della Convenzione.

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