Centrale il ruolo della CEDU nel divieto di utilizzare dichiarazioni rese in sede predibattimentale del teste irreperibile

Annullata la sentenza di condanna decisa dalla Corte di appello di Milano nei confronti di un individuo accusato di spaccio di stupefacenti che era stato ritenuto colpevole utilizzando le dichiarazioni rese da un testimone in sede predibattimentale senza che la difesa lo avesse potuto controinterrogare nel corso del processo in quanto irreperibile. Lo ha deciso la Corte di cassazione, sesta sezione penale, n. 24039 del 15 giugno 2011(24039_06_11) che ha fondato la propria decisione sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che, in diverse occasioni, ha considerato come una violazione dei principi dell’equo processo e del diritto alla difesa le condanne comminate sulla base di dichiarazioni non contestabili nel corso del processo. La Cassazione, poi, richamando anche la sentenza della Corte di giustizia Ue del 28 aprile 2011 relativa al caso El Dridi (C-61/11), ha chiarito che i giudici nazionali sono tenuti a disapplicare le norme interne contrarie al diritto Ue e a interpretare le norme in modo conforme a quelle internazionali. Per utilizzare le dichiarazioni di un soggetto irreperibile – precisa la Cassazione – è necessario dimostrare che sono stati svolti tutti gli accertamenti “congrui alla peculiare situazione personale” del teste e che sono impossibili ulteriori ricerche del testimone, motivando il provvedimento di irreperibilità. In caso contrario, per non incorrere in una violazione della Convenzione europea, le dichiarazioni non possono essere utilizzate.

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