Nei contratti di credito al consumo la tutela del consumatore prima di tutto. In questa direzione, il legislatore nazionale non può prevedere una prassi che imponga al consumatore di provare che non ha ricevuto adeguate informazioni al momento della sottoscrizione del credito. In caso contrario – osserva la Corte di giustizia nell’Unione europea nella sentenza depositata il 18 dicembre (C-449/13, credito al consumo) – sarebbe leso il principio di effettività.
Al centro della pronuncia della Corte Ue, l’interpretazione della direttiva 2008/48/Ce del 23 aprile 2008 relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/Cee, recepita in Italia con Dlgs 13 agosto 2010 n. 141. Sono stati i giudici francesi a chiamare in aiuto i colleghi di Lussemburgo prima di pronunciarsi sull’applicazione dell’atto Ue. La controversia nazionale riguardava i ricorsi presentati da alcuni consumatori che avevano stipulato un contratto per un prestito personale legato all’acquisto di un’automobile. I contraenti non avevano rimborsato alcune rate e, di conseguenza, la società di prestito gli aveva citati in giudizio. La società finanziaria non aveva dimostrato, però, di aver consegnato la scheda informativa precontrattuale o altro documento idoneo a informare i debitori delle diverse condizioni e della loro solvibilità.
Chiarito che la direttiva 2008/48 punta a un’armonizzazione “completa e imperativa” di settori considerati fondamentali per assicurare ai consumatori un elevato livello di protezione, nell’ottica di rafforzare “il sorgere di un efficiente mercato interno del credito al consumo”, la Corte di giustizia ha precisato che la direttiva non si preoccupa di stabilire su quali contraenti gravi l’onere della prova per quel che riguarda il rispetto degli obblighi di informazione a tutela del consumatore. Tuttavia, malgrado l’apparente lacuna del sistema e pur considerando che in mancanza di una disciplina Ue spetta all’ordinamento interno stabilire le modalità procedurali per tutelare il consumatore, Lussemburgo non ha dubbi nell’affermare che l’onere della prova non può gravare sul consumatore. Ad ammettere una simile ipotesi, è evidente che sarebbe compromessa l’effettività della direttiva. D’altra parte, la previsione dell’onere della prova sul creditore non costituisce un onere eccessivo né intacca il principio dell’equo processo tanto più che “un creditore diligente deve essere consapevole della necessità di raccogliere e conservare prove dell’esecuzione degli obblighi di informazione”. Non solo. La Corte riconosce che è legittimo inserire nel contratto una clausola circa l’avvenuto adempimento degli obblighi di informazione, ma questo non comporta il riconoscimento dell’esecuzione degli obblighi precontrattuali da parte del creditore. Ed invero, per la Corte, la clausola non può compromettere il diritto del consumatore e dello stesso giudice nazionale di verificare se gli obblighi informativi a carico della società di credito siano stati effettivamente rispettati.
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