Divieto di reingresso non superiore a 5 anni. Lo precisa la Cassazione

Con ordinanza n. 18254 del 17 settembre 2015, la sesta sezione civile della Corte di cassazione ha chiarito l’incidenza sul divieto di reingresso della direttiva 115/2008 relativa alle norme e alle procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, riconsiderando il proprio precedente orientamento (28254_09_2015). Una donna, espulsa anni prima, era rientrata in Italia e aveva presentato istanza di revoca del decreto di espulsione. La domanda era stata respinta sul presupposto che non erano decorsi 10 anni come prevedeva il Dlgs 286/1988 e che non era stata chiesta la speciale autorizzazione ministeriale. Di diverso avviso la Cassazione secondo la quale l’adozione della direttiva 2008/115 recepita in Italia con d.l. n. 89/2011, convertito nella legge n. 129/2011 ha modificato il divieto di reingresso riducendo l’arco temporale da 10 a 5 anni, senza alcuna necessità, trascorso questo tempo, dell’autorizzazione ministeriale. E’ evidente che l’adeguamento della normativa italiana alla direttiva, secondo la quale il divieto di reingresso non può essere superiore a 5 anni e inferiore a 3, impone di tener conto del nuovo termine anche con riferimento a situazioni relative al periodo precedente rispetto all’adozione del decreto legge di recepimento. Di conseguenza, per la Suprema Corte non si può ritenere illegittimo il rientro di un cittadino straniero colpito da decreto di espulsione dopo che siano decorsi 5 anni così come non va richiesta la speciale autorizzazione ministeriale che riguarda solo casi concreti, mentre è irragionevole richiederla una volta scaduto il termine relativo al divieto di reingresso.

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