Inviolabilità degli immobili dell’ambasciata garantita e al riparo da ogni provvedimento di indagine disposto da uno Stato estero. La Corte internazionale di giustizia, con l’ordinanza sulle misure cautelari del 7 dicembre 2016, nel caso “Immunità e procedimenti penali”, che vede contrapposti Guinea equatoriale e Francia, ordina a Parigi di astenersi da ogni azione che possa mettere a repentaglio l’effettiva attuazione del principio dell’inviolabilità dell’ambasciata di uno Stato estero (19282). A rivolgersi alla Corte internazionale di giustizia è stata la Guinea equatoriale in conseguenza del mandato di cattura internazionale emesso dalle autorità giudiziarie francesi nel luglio del 2012 nei confronti del figlio del Capo di Stato e vicepresidente Teodorin Obiang, accusato di riciclaggio, corruzione e appropriazione indebita (l’indagine era iniziata nel 2008 e la Corte di Cassazione francese, nel 2015, aveva respinto il ricorso di Obiang che invocava l’immunità). Il provvedimento era stato accompagnato dal sequestro di alcune automobili e documenti prelevati in un immobile che faceva parte della rappresentanza diplomatica. Lo Stato ricorrente sosteneva che erano state violate le regole sull’immunità e lo status della propria ambasciata in Francia. Come base giuridica del ricorso all’Aja, la Guinea equatoriale ha indicato l’articolo 35, par. 2 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale in base al quale “Qualsiasi controversia tra due o più Stati Parte riguardo all’interpretazione o all’applicazione di questa Convenzione che non possa essere composta tramite negoziato entro un arco di tempo ragionevole, a richiesta di uno di quegli Stati, sarà demandata ad arbitrato. Se dopo sei mesi dalla data della richiesta d’arbitrato, quegli Stati Parte non sono in grado di accordarsi sull’organizzazione dell’arbitrato, ognuno di essi può rimettere la controversia alla Corte Internazionale di Giustizia tramite richiesta, in conformità allo Statuto della Corte”, nonché il Protocollo alla Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961 relativo alla composizione obbligatoria delle controversie. La Corte internazionale di giustizia, nel decidere sulle misure cautelari, ha verificato che, prima facie, non sussiste la giurisdizione in base alla Convenzione contro la criminalità organizzata transnazionale perché la controversia riguarda l’immunità rationae personae in base al diritto consuetudinario e non concerne, invece, il rispetto degli obblighi da parte della Francia con riguardo alla Convenzione. In particolare, accogliendo le obiezioni della Francia, la Corte ha affermato che la controversia non verte sull’articolo 4 della Convenzione secondo il quale “Gli Stati Parte adempiono agli obblighi di cui alla presente Convenzione coerentemente con i principi dell’eguaglianza sovrana, dell’integrità territoriale e del non intervento negli affari interni di altri Stati. Nulla nella presente Convenzione legittima uno Stato Parte ad intraprendere nel territorio di un altro Stato l’esercizio della giurisdizione e di funzioni che sono riservate esclusivamente alle autorità di quell’altro Stato dal suo diritto interno”. I giudici internazionali hanno invece ritenuto sussistente la competenza in base al Protocollo alla Convenzione di Vienna poiché la controversia ha al centro l’applicazione e l’interpretazione del Trattato con particolare riguardo all’articolo 22 il quale riconosce che “Le stanze della missione sono inviolabili. Senza il consenso del capomissione, è vietato agli agenti dello Stato accreditatario accedere alle stesse”. Di conseguenza, ritenendo prima facie sussistente la propria giurisdizione, i giudici hanno concesso le misure cautelari richieste dalla Guinea Equatoriale in ragione dell’urgenza e perché le azioni messe in atto dalla Francia possono costituire un rischio irreparabile per lo svolgimento delle funzioni della missione diplomatica, soprattutto con riguardo alla possibile confisca dell’immobile che è preclusa fino alla decisione sul merito.
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