Il rifiuto di riconoscere un cognome che include un titolo nobiliare non è contrario al diritto Ue

Il divieto di trascrivere un cognome acquisito da un proprio cittadino in un altro Stato membro, nel quale è incluso un titolo nobiliare, non è contrario al diritto Ue se è funzionale alla tutela di valori fondamentali come il principio di uguaglianza tra cittadini. Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Unione europea che, con la sentenza del 22 dicembre (causa C-208/09, Sayn-Wittgenstein, cognome) ha rafforzato il potere discrezionale degli Stati nell’individuazione delle regole in materia di cognome laddove è in gioco la tutela di valori fondamentali, come l’uguaglianza tra cittadini, che rientra tra i principi generali del diritto. Ai giudici di Lussemburgo si era rivolta la Corte suprema amministrativa di Vienna: una cittadina austriaca, adottata in Germania, aveva assunto il cognome di famiglia paterno nel quale era stato incluso, secondo la legge tedesca, il titolo nobiliare il cui utilizzo è invece vietato in Austria. Di conseguenza, le autorità austriache avevano comunicato alla ricorrente che per poter ottenere l’iscrizione nel registro delle nascite avrebbe dovuto procedere alla rettifica del cognome. Una conclusione che, alla donna, appariva contraria al diritto alla libera circolazione perché la variazione del cognome in patria avrebbe creato ostacoli anche allo svolgimento della sua attività lavorativa. La Corte di giustizia non ha condiviso le ragioni della donna e ha avallato le scelte del legislatore nazionale. In linea generale – ha precisato la Corte – i cittadini Ue hanno il diritto di usare un unico cognome anche per poter esercitare in modo effettivo il diritto alla libertà di circolazione e non dover dissipare continuamente dubbi sulla propria identità, ma laddove è in gioco la tutela di valori come il principio di uguaglianza le autorità nazionali possono impedire la trascrizione di un cognome ottenuto in un altro Paese membro che include anche un titolo nobiliare.

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