Indennità di buonuscita con troppe tasse: una speranza per i lavoratori da Strasburgo

Va bene colpire gli sprechi e pensare alle casse dello Stato per combattere la crisi. Ma senza intaccare i diritti fondamentali riconosciuti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Lo ha chiarito la Corte di Strasburgo in una sentenza depositata il 14 maggio 2013 (ricorso n. 66529/11, CASE OF N.K.M. v. HUNGARY) destinata a fare da apripista in numerose vicende che vedono colpiti i lavoratori in ogni angolo d’Europa. Questi i fatti. Una donna, funzionario presso un ministero in Ungheria per 30 anni, aveva deciso di lasciare il suo impiego in ragione delle agevolazioni decise dal Governo per coloro che accettavano di abbandonare il posto di lavoro prima dell’età del pensionamento. La donna aveva diritto a un’indennità di buonuscita che le avrebbe consentito di vivere e cercare un altro impiego. Tuttavia, il Parlamento aveva introdotto, a 10 settimane dalle dimissioni della donna, una modifica alla legislazione fiscale che comportava una trattenuta a titolo di pagamento delle tasse pari al 98% dell’indennità di buonuscita. Di qui il ricorso a Strasburgo che ha dato ragione alla donna. Prima di tutto, la Corte europea ha chiarito che nell’articolo 1, del Protocollo n. 1 che assicura la tutela del diritto di proprietà e al rispetto dei propri beni sono incluse le entrate fondate su una legittima aspettativa. Poco importa, quindi, che la donna non aveva ricevuto l’indennità e poi pagato le tasse perché, anche se il prelievo era stato effettuato direttamente dal datore di lavoro e, quindi, prima di arrivare alla ricorrente, le entrate erano parte di una legittima aspettativa della donna e rientravano così nel diritto al godimento dei beni. E’ vero che gli Stati hanno un ampio margine di apprezzamento soprattutto nei casi in cui sia in gioco una legittima aspettativa e non un bene già in possesso di un individuo, ma non possono ingerirsi nel diritto di proprietà con misure sproporzionate rispetto all’obiettivo conseguito. La donna, invece, aveva visto del tutto annullato il proprio diritto essendo stata privata di un’entratta che legittimamente si aspettava in un periodo di particolare difficoltà in quanto aveva perso il lavoro. L’ingerenza nel legittimo godimento dei beni era così sproporzionata e, malgrado un interesse pubblico basato sulle esigenze di bilancio statale e di giustizia sociale, in evidente contrasto con la Convenzione così come con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea richiamata da Strasburgo (articolo 34). L’onere eccessivo subito dalla donna ha così comportato una condanna dello Stato anche al pagamento di 11.000 euro per i danni materiali e morali provocati.

La sentenza, che limita il potere di intervento degli Stati anche in materia fiscale, potrebbe costituire una base per numerosi ricorsi a Strasburgo forse anche per gli “esodati” italiani.

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