La Corte Ue precisa l’ambito di applicazione della direttiva sulla responsabilità per danno ambientale

Se manca il nesso causale tra l’attività del proprietario di un sito e il danno ambientale, gli Stati possono prevedere una normativa interna che imponga sul proprietario, non responsabile delle attività pregresse, unicamente il rimborso delle spese ma non altre misure di riparazione. Lo ha chiarito la Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza depositata il 4 marzo (causa C-534/13, ambiente), con la quale sono stati sciolti alcuni problemi interpretativi sulla direttiva 2004/35 sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, recepita in Italia con Dlgs 152/2006. Le vicende che hanno portato il Consiglio di Stato a rivolgersi a Lussemburgo per alcuni chiarimenti interpretativi sulla direttiva riguardavano alcune controversie tra il Ministero dell’ambiente e i nuovi proprietari di terreni, comprati da due società del gruppo Montedison. La bonifica precedente alla vendita non era stata sufficiente. Il Ministero dell’ambiente aveva adottato un provvedimento nel quale chiedeva ai nuovi proprietari la messa in sicurezza dei suoli. Il Tar aveva annullato il provvedimento invocando il principio Ue “chi inquina paga” e ritenendo, così, che i nuovi proprietari non dovessero provvedere al risanamento o alla riparazione non avendo causato l’inquinamento.

Prima di tutto, gli eurogiudici hanno chiarito che spetta ai tribunali nazionali accertare se, sotto il profilo temporale e sotto quello soggettivo, l’atto Ue risulti applicabile. E’ necessario – osserva la Corte – che l’attività sia stata svolta da un operatore che è, poi, economicamente responsabile, con la conseguenza che su di lui devono gravare i costi di prevenzione e di riparazione. Nel caso all’attenzione della Corte gli acquirenti non svolgevano le attività elencate nell’allegato III e, quindi, – scrive Lussemburgo – è presumibile che, salvi i casi residuali previsti dalla direttiva, quest’ultima non vada attuata.

Per quanto riguarda il regime di responsabilità, la direttiva ha puntato sul nesso di causalità tra l’attività dell’operatore e il danno ambientale, proprio per realizzare in modo effettivo il principio “chi inquina paga”. Se non è dimostrato il nesso causale tra danno ambientale e attività dell’operatore la direttiva non può essere applicata. Spazio così agli ordinamenti nazionali. Questo vuol dire che, nel caso di specie, se i giudici nazionali stabiliscono che gli acquirenti non hanno contribuito al danno ambientale, vanno applicate le disposizioni interne che non consentono di imporre misure di riparazione sul proprietario non responsabile della contaminazione, prevedendo unicamente un rimborso dei costi sostenuti dalle autorità nazionali nei limiti del valore del terreno, determinato dopo l’esecuzione degli interventi.

 

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