La Corte Ue torna sull’età pensionabile

Il divieto di discriminazione diretta o indiretta in base al sesso nel lavoro pubblico e privato, fissato dal diritto Ue, colpisce le scelte del legislatore nazionale in materia di età pensionabile differenziata. E’ stata la Corte di giustizia Ue, con la sentenza del 18 novembre scorso (Kleist, causa C-356/09, gettext), a tornare sull’età pensionabile, con un’angolazione diversa rispetto al passato, rilevando una discriminazione sulla base del sesso e non in base all’età: per la Corte, infatti, il legislatore nazionale non può trattare in modo meno favorevole un individuo rispetto ad un altro solo per la differenza di sesso, se i lavoratori, uomini o donne, si trovano nella stessa situazione. Di conseguenza, potrebbe accadere, accertata la discriminazione in base al sesso sul piano delle condizioni di lavoro, inclusi pensioni e licenziamenti, che anche un uomo si potrebbe ritenere discriminato rispetto a una donna che può andare in pensione prima pur trovandosi nella sua stessa situazione lavorativa. La vicenda è arrivata a Lussemburgo su rinvio pregiudiziale della cassazione austriaca che ha chiesto agli eurogiudici di chiarire l’articolo 3 bis della direttiva 76/207 sulla parità di trattamento tra uomini e donne nell’accesso al lavoro, modificata dalla 2002/73 e dalla 2006/54, recepita in Italia con il Dlgs 5/2010. I giudici viennesi erano alla prese con una controversia tra una donna collocata a riposo a 60 anni e la cassa pensioni. La donna aveva chiesto di rimanere in servizio fino a 65 anni (come accadeva per gli uomini), ma la cassa pensione aveva deciso di licenziare i dipendenti che avevano maturato la pensione. Con una discriminazione – ad avviso della donna – nei confronti delle lavoratrici costrette a lasciare il lavoro prima degli uomini. Una visione condivisa dalla Corte Ue, chiara nel considerare una discriminazione diretta in base al sesso l’individuazione di età diverse per la pensione tra uomini e donne.

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