Nel decidere la legge da applicare in una questione di diritto internazionale privato il giudice nazionale deve considerare le convenzioni internazionali in linea con l’articolo 2 della legge n. 218/1995. Di conseguenza, nel determinare il diritto di una donna a mantenere il cognome del marito dopo il divorzio, i tribunali competenti devono applicare la Convenzione di Monaco del 5 settembre 1980 sulla legge applicabile ai nomi e ai cognomi, ratificata e resa esecutiva con legge 19 novembre 1984 n. 950. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, prima sezione civile, con la sentenza n. 23291 depositata il 13 novembre (123291). Al centro della vicenda una coppia (moglie svedese), che aveva divorziato. E’ stato l’ex marito a rivolgersi alla Suprema Corte a seguito della decisione della Corte di appello che aveva modificato l’assegno di mantenimento e consentito alla ex moglie di mantenere il cognome del coniuge malgrado la cessazione del matrimonio. Secondo i giudici di appello, che avevano ribaltato la pronuncia in primo grado in base alla quale alla donna non poteva essere consentito l’utilizzo del cognome dell’ex marito in forza dell’articolo 5 della legge n. 898/1970, la donna poteva mantenere il cognome che era stato acquisito con il consenso del marito al momento della celebrazione del matrimonio e che aveva sostituito quello originario. La legge straniera applicabile dava la possibilità all’ex coniuge di scegliere se mantenere il cognome assunto al momento del matrimonio o cambiarlo. Pertanto, la donna poteva mantenere il cognome. Una soluzione che non ha convinto l’ex marito secondo il quale doveva essere applicata la legge italiana, applicabile al divorzio: di qui l’obbligo di attuare l’articolo 5 della legge n. 898 che limita la conservazione del cognome del marito assunto al momento del matrimonio, nel caso di divorzio, a situazioni eccezionali. La Cassazione ha respinto il ricorso del marito e condiviso la conclusione della Corte di appello ma ha ritenuto di apportare alcune precisazioni sulle norme di conflitto applicabili. La Suprema Corte ribadisce che il diritto al cognome rientra tra i diritti della personalità (articolo 24 legge n. 218/95) con la conseguenza che va, in via generale, applicata la legge nazionale del soggetto salvo nei casi in cui i diritti in questione derivano dal rapporto di famiglia perché in quest’ipotesi si applica la legge regolatrice del rapporto. Sia l’articolo 24, comma 2, della legge n. 218/95, sia l’articolo 31 – scrive la Cassazione – riconducono alla legge italiana, tuttavia va considerata la Convenzione di Monaco tenendo conto altresì che l’articolo 2 della legge n. 218/95 riconosce la prevalenza delle convenzioni internazionali. L’indicata Convenzione richiama la legge dello Stato di cui il titolare è cittadino (in questo caso quella svedese) e le situazioni “da cui dipendono i cognomi e i nomi, ovvero i rapporti di famiglia che li determinano sono valutati alla luce della legge dello Stato della cittadinanza”, con una soluzione diversa rispetto alle legge n. 218/95. Di qui l’applicazione della legge svedese tanto più che il diritto alla continuità del cognome non è incompatibile con l’ordine pubblico. La conservazione del cognome, poi, precisa la Suprema Corte, è “la soluzione più coerente con i principi elaborati dalla Corte di giustizia Ue nelle sentenze Grunking Paul e Garcia Avello”.
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